I conceived this paper as the completion of a ten year stretch spent working on detective fiction (noir being my main focus) as a translator, editor, reviewer, author and consultant hired by a literary agent to evaluate ¿manuscripts¿ and eventually point out their ideal place among Italian publishing houses' book series. Hardly satisfied by current versions, overall vague when not explicitly aimed to confuse the occasional reader (mostly for marketing reasons), I chose to devote myself to the definition of noir. Right from the beginning, convinced as I am that contemporary cultural production (in a broad sense) works transmedially, I decided that the aim of my research had to be a not medium-specific definition, apt to describe noir in all of its incarnations. Also, I was determined not to let normative definitions (the kind that states what a thing should be, instead of defining what it is) tempt me. Thus, I decided to start by inspecting our correct use of ¿noir¿ as a concept, and, to say it with Morris Weitz, ¿the conditions under which we correctly use it¿, to see if I could come up with some useful criteria. I then changed my title from ¿Cos'è il noir?¿ (which conveys a vague echo of essentialism) to ¿Cos'è noir?¿ (alluding to the search for usable criteria); rather than working out a ¿real¿ definition, then, I aimed to deliver a reflection about our criteria for identifying noir and the way we use them. First thing I had to clear the field from old definitions; confronting an endless series of unsuccessful attempts at defining noir seemed to suggest that if I wanted to do any better I had to widen my perspective, so I chose to survey some crucial phases of the analytic research on the definition of art, along with the usual collection of literary and movie-critic (while I had decided to take literature as a starting point, most of the critical positions I had to deal with came from a movie critic perspective) based definitions. As far as analytic philosophy is concerned, my main reference is to not-functional definitions (though one might want to affirm that literature as a whole responds to a specific function, it seems pretty hard to think that noir can be defined -or discerned- relying on an alleged particular function of its own) and the anti-essentialist approach. To me, noir is not a solid repertoire of objects produced through the application of a limited set of necessary and sufficient conditions, but rather an unstable collection made of temporary inclusions and exclusions, based on direct or not direct reference of the ¿noir candidate¿ to an original series of objects; so noir is treated here as the product of endless re-definition, re-reading (or re-writing as Stanley Fish would put it) and rearrangement, brought forth by a growing number of interpretative communities often in conflict with one another. Upon starting my research, I was convinced that noir was not a genre (as many film critics point out, it lacks the recognizable, recurring features usually associated with the genre concept), but I had to change my mind: I think that the rules that control the gradual augmentation of our noir concept, are pretty much the same as the ones that regulate augmentation of our western or sci-fi concept, etc., so I guess the time has come for us to start talking about genres (all of them, even the traditional, hyper-codified ones) as flexible and often interchangeable interpretative tools, or stop talking about them at all.
Vedo questa tesi come coronamento di un decennio di lavoro condotto sul romanzo d'indagine (e in particolare sul noir) in veste di traduttore, curatore, recensore, autore e consulente chiamato a valutare manoscritti e a individuarne la possibile collocazione editoriale. Insoddisfatto dalle versioni correnti, troppo spesso imprecise, quando non volutamente mirate a confondere le idee (spesso per motivi di marketing) al lettore impreparato, ho deciso di dedicarmi alla definizione del noir, assumendo in particolare una prospettiva letteraria. Ciononostante, convinto che ormai la produzione culturale funzioni in maniera transmediale, mi sono posto l'obbiettivo di individuare una definizione applicabile al noir in tutte le sue forme, ovvero indipendentemente dal medium di realizzazione. Deciso a non cedere alla tentazione prescrittiva (finendo per definire non ciò che il noir è, ma ciò che dovrebbe essere), ho cominciato il mio lavoro indagando l'uso (informato) che facciamo del concetto di noir, e (parafrasando Weitz), le condizioni alle quali lo usiamo, con i suoi correlativi, correttamente, alla ricerca di validi criteri di discrimine. Non ¿cos'è il noir?¿, ma ¿cos'è noir?¿; non una vera e propria definizione, dunque, ma una riflessione sui criteri che regolano l'inclusione o l'esclusione di una determinata opera dall'insieme eterogeneo di oggetti che chiamiamo noir. Per poter procedere sentivo di dover preventivamente sgombrare il campo dalle definizioni correnti. L'osservazione e l'analisi di questo repertorio di tentativi di definizione mi ha portato ad allargare la prospettiva affiancando alla critica letteraria e cinematografica alcune tappe cruciali della riflessione analitica sulla definizione dell'arte, occupandomi in particolare di posizioni sorte su basi non funzionaliste (perché, anche ammesso che si voglia e si possa sostenere che la letteratura in generale svolge un determinata funzione, mi sembra improbabile che si possa individuare una funzione ¿specifica¿ del genere noir, sulla base della quale sia possa distinguere gli oggetti noir da quelli non-noir) e antiessenzialiste. Ritengo che il noir non sia un insieme stabile di oggetti prodotto attraverso l'applicazione meccanica di una serie di condizioni necessarie e sufficienti, ma un repertorio sempre in discussione, nel quale gli oggetti vengono inclusi o esclusi sulla base di un riferimento diretto o mediato a una serie originale, e così lo tratto in questa tesi: come insieme mai chiuso, la cui definizione compiuta è termine ipotetico di un interminabile lavoro di rilettura (riscrittura, direbbe Fish), spostamento e ridefinizione affidato a una critica fatta di comunità interpretative sempre più numerose e sempre più spesso in reciproco disaccordo. Convinto, sul principio, che il noir non fosse un genere (come la critica cinematografica ha giustamente sottolineato, al noir mancano quei caratteri ripetitivi e riconoscibili che normalmente definiscono un genere), ho finito per ricredermi: mi pare che i modi che hanno guidato e guidano i progressivi ampliamenti del nostro concetto di noir siano gli stessi che regolano gli ampliamenti dei concetti di ¿western¿, ¿fantascienza¿ ecc.; pertanto ritengo sia arrivato il momento di cominciare a parlare dei generi (tutti, anche quelli ¿tradizionali¿) come di categorie interpretative elastiche e spesso intercambiabili, o di non parlarne affatto.
Cos'è noir?
FULIO BRAGONI, FABRIZIO
2013/2014
Abstract
Vedo questa tesi come coronamento di un decennio di lavoro condotto sul romanzo d'indagine (e in particolare sul noir) in veste di traduttore, curatore, recensore, autore e consulente chiamato a valutare manoscritti e a individuarne la possibile collocazione editoriale. Insoddisfatto dalle versioni correnti, troppo spesso imprecise, quando non volutamente mirate a confondere le idee (spesso per motivi di marketing) al lettore impreparato, ho deciso di dedicarmi alla definizione del noir, assumendo in particolare una prospettiva letteraria. Ciononostante, convinto che ormai la produzione culturale funzioni in maniera transmediale, mi sono posto l'obbiettivo di individuare una definizione applicabile al noir in tutte le sue forme, ovvero indipendentemente dal medium di realizzazione. Deciso a non cedere alla tentazione prescrittiva (finendo per definire non ciò che il noir è, ma ciò che dovrebbe essere), ho cominciato il mio lavoro indagando l'uso (informato) che facciamo del concetto di noir, e (parafrasando Weitz), le condizioni alle quali lo usiamo, con i suoi correlativi, correttamente, alla ricerca di validi criteri di discrimine. Non ¿cos'è il noir?¿, ma ¿cos'è noir?¿; non una vera e propria definizione, dunque, ma una riflessione sui criteri che regolano l'inclusione o l'esclusione di una determinata opera dall'insieme eterogeneo di oggetti che chiamiamo noir. Per poter procedere sentivo di dover preventivamente sgombrare il campo dalle definizioni correnti. L'osservazione e l'analisi di questo repertorio di tentativi di definizione mi ha portato ad allargare la prospettiva affiancando alla critica letteraria e cinematografica alcune tappe cruciali della riflessione analitica sulla definizione dell'arte, occupandomi in particolare di posizioni sorte su basi non funzionaliste (perché, anche ammesso che si voglia e si possa sostenere che la letteratura in generale svolge un determinata funzione, mi sembra improbabile che si possa individuare una funzione ¿specifica¿ del genere noir, sulla base della quale sia possa distinguere gli oggetti noir da quelli non-noir) e antiessenzialiste. Ritengo che il noir non sia un insieme stabile di oggetti prodotto attraverso l'applicazione meccanica di una serie di condizioni necessarie e sufficienti, ma un repertorio sempre in discussione, nel quale gli oggetti vengono inclusi o esclusi sulla base di un riferimento diretto o mediato a una serie originale, e così lo tratto in questa tesi: come insieme mai chiuso, la cui definizione compiuta è termine ipotetico di un interminabile lavoro di rilettura (riscrittura, direbbe Fish), spostamento e ridefinizione affidato a una critica fatta di comunità interpretative sempre più numerose e sempre più spesso in reciproco disaccordo. Convinto, sul principio, che il noir non fosse un genere (come la critica cinematografica ha giustamente sottolineato, al noir mancano quei caratteri ripetitivi e riconoscibili che normalmente definiscono un genere), ho finito per ricredermi: mi pare che i modi che hanno guidato e guidano i progressivi ampliamenti del nostro concetto di noir siano gli stessi che regolano gli ampliamenti dei concetti di ¿western¿, ¿fantascienza¿ ecc.; pertanto ritengo sia arrivato il momento di cominciare a parlare dei generi (tutti, anche quelli ¿tradizionali¿) come di categorie interpretative elastiche e spesso intercambiabili, o di non parlarne affatto.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/129743