Questo lavoro tratta del diritto di difesa e dell'imputato straniero in Italia. Il cittadino straniero che si trova a dover subire un processo, deve poter avere una piena e consapevole conoscenza dell'accusa che si muove a suo carico. Per garantire tale diritto il legislatore ha disciplinato la traduzione degli atti nel titolo IV del c.p.p. All'art. 143 è garantito il diritto per l'imputato che non conosce la lingua italiana a farsi assistere gratuitamente da un interprete. Tale diritto è garantito anche al cittadino italiano, per il quale la conoscenza della lingua italiana è presunta sino a prova contraria. L'interprete giudiziario è nominato dall'autorità giudicante ed è ausiliario del giudice. Egli, quindi, non deve prendere alcuna iniziativa di parte ma è funzionale al regolare svolgimento del processo. Il ruolo dell'interprete è essenziale per la difesa dell'imputato alloglotta e per la comprensione dell'intero svolgimento del processo. L'assistenza linguistica è ammessa al procedimento penale ogni qualvolta l'imputato prenda parte all'udienza preliminare e all'udienza dibattimentale, così come alle udienze instaurate nel corso delle indagini preliminari, a quelle di convalida, o a quelle in cui si procede ad incidente probatorio. In tali situazioni l'interprete si fa da intermediario tra tutti i protagonisti presenti sulla scena processuale rendendo comprensibile un linguaggio altrimenti inintelligibile. Per quanto riguarda, invece, gli atti scritti, l'art. 143 c.p.p. sembra mostrare una certa reticenza espressiva limitandosi a ricollegare la garanzia del supporto linguistico alla comprensione dell'accusa formulata contro l'imputato e degli atti ai quali partecipa. La sentenza della Corte costituzionale n.10 del 1993 ha segnato una svolta importante per la lettura dell'art. 143 c.p.p. Con questa sentenza, infatti, la Corte ha ritenuto che l'articolo in questione sia suscettibile di un'interpretazione estensiva che ne amplia il significato normativo, rendendolo applicabile a tutte le ipotesi nelle quali l'imputato, ove non potesse giovarsi dell'ausilio dell'interprete o del traduttore, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo. L'ordinamento italiano, ha previsto la tutela di alcune minoranze linguistiche riconosciute a livello costituzionale. I soggetti appartenenti ad una di queste minoranze linguistiche possono infatti chiedere di essere ascoltati nella loro madrelingua e naturalmente essere assistiti da un interprete giudiziario. Numerosi passi in avanti devono essere ancora fatti in materia, a partire dall'attuazione della Direttiva europea n. 64 del 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.
Diritto di difesa e imputato straniero
MOLINA, MARTA
2012/2013
Abstract
Questo lavoro tratta del diritto di difesa e dell'imputato straniero in Italia. Il cittadino straniero che si trova a dover subire un processo, deve poter avere una piena e consapevole conoscenza dell'accusa che si muove a suo carico. Per garantire tale diritto il legislatore ha disciplinato la traduzione degli atti nel titolo IV del c.p.p. All'art. 143 è garantito il diritto per l'imputato che non conosce la lingua italiana a farsi assistere gratuitamente da un interprete. Tale diritto è garantito anche al cittadino italiano, per il quale la conoscenza della lingua italiana è presunta sino a prova contraria. L'interprete giudiziario è nominato dall'autorità giudicante ed è ausiliario del giudice. Egli, quindi, non deve prendere alcuna iniziativa di parte ma è funzionale al regolare svolgimento del processo. Il ruolo dell'interprete è essenziale per la difesa dell'imputato alloglotta e per la comprensione dell'intero svolgimento del processo. L'assistenza linguistica è ammessa al procedimento penale ogni qualvolta l'imputato prenda parte all'udienza preliminare e all'udienza dibattimentale, così come alle udienze instaurate nel corso delle indagini preliminari, a quelle di convalida, o a quelle in cui si procede ad incidente probatorio. In tali situazioni l'interprete si fa da intermediario tra tutti i protagonisti presenti sulla scena processuale rendendo comprensibile un linguaggio altrimenti inintelligibile. Per quanto riguarda, invece, gli atti scritti, l'art. 143 c.p.p. sembra mostrare una certa reticenza espressiva limitandosi a ricollegare la garanzia del supporto linguistico alla comprensione dell'accusa formulata contro l'imputato e degli atti ai quali partecipa. La sentenza della Corte costituzionale n.10 del 1993 ha segnato una svolta importante per la lettura dell'art. 143 c.p.p. Con questa sentenza, infatti, la Corte ha ritenuto che l'articolo in questione sia suscettibile di un'interpretazione estensiva che ne amplia il significato normativo, rendendolo applicabile a tutte le ipotesi nelle quali l'imputato, ove non potesse giovarsi dell'ausilio dell'interprete o del traduttore, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo. L'ordinamento italiano, ha previsto la tutela di alcune minoranze linguistiche riconosciute a livello costituzionale. I soggetti appartenenti ad una di queste minoranze linguistiche possono infatti chiedere di essere ascoltati nella loro madrelingua e naturalmente essere assistiti da un interprete giudiziario. Numerosi passi in avanti devono essere ancora fatti in materia, a partire dall'attuazione della Direttiva europea n. 64 del 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/129489