Il processo penale e il tempo rappresentano un binomio inscindibile: il primo, inteso come sequenza giudiziaria di atti composti in progressione lineare e collegati tra loro in relazione ordinata, non può (e non deve) prescindere dall'unità di misura temporale che scandisce questa progressione e la orienta ¿al futuro¿. L'importanza e la drammaticità che il fattore tempo riveste sia per l'imputato che per la collettività, sembrerebbe portare a ritenere indispensabile che il processo sia connotato da ¿rapidità¿ e ¿celerità¿, come se il bisogno di giustizia fosse inversamente proporzionale al tempo impiegato per giungere all'accertamento definitivo. Non sono necessarie particolari doti o conoscenze per intuire che la ¿celerità¿ non costituisce un valore assoluto, da perseguire ad ogni costo in quanto garanzia di una ¿sentenza certa e giusta¿. Un processo ¿lampo¿, caratterizzato da un eccessivo contenimento dei tempi processuali, comporta spesso, infatti, un accertamento frettoloso e sommario dal quale possono derivare altrettante sofferenze per l‟imputato ed una sorta di denegatio iustitiae per la persona offesa e l'intera collettività. Il processo quindi, pur rifuggendo da rallentamenti e lungaggini, deve mirare a bilanciare l'esigenza di speditezza con i principi regolatori della giustizia e con i diritti costituzionalmente garantiti. Il criterio cui il processo deve quindi ispirarsi è quello della ragionevolezza, fatto proprio dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo come parametro ¿universale¿ cui i legislatori nazionali devono rifarsi nel regolare le scansioni temporali dei loro processi. I diritti umani e nello specifico il diritto alla ragionevole durata in Europa sono assistiti da un sistema costituito da una pluralità di fonti che, interagendo tra di loro, hanno l'obiettivo comune di assicurare la tutela dell'individuo. Il problema della ¿ragionevole durata del processo¿ accomuna le esperienze nazionali e sovranazionali, ma in Italia tale fenomeno ha assunto proporzioni tali da spingere le istituzioni europee ad individuare il problema della irragionevole durata dei processi come ¿il caso italiano¿ per il carattere patologico che esso ha assunto nel nostro Paese. La garanzia del délai raisonnable, che ha assunto nel tempo un valore sempre più elevato, fino a assurgere al rango di principio costituzionale con la riforma dell'art. 111 Cost., resta un motivo di forte esposizione dello Stato italiano a livello internazionale, data l'incapacità dimostrata fino ad oggi dal nostro ordinamento di assicurarne la tutela. Grazie alla legge Pinto, la Corte Edu è potuta tornare a occupare il proprio ruolo di istanza giurisdizionale sussidiaria, anche se l'Italia è stata la nazione che ha riportato il maggior numero di condanne per l'eccessiva durata dei processi dinanzi a Strasburgo. Questo ha fatto sì che da alcuni anni ormai il nostro Paese ¿viva¿ come un sorvegliato speciale proprio perché il problema appare tutt'altro che risolto. La soluzione non è ancora stata trovata né a livello legislativo né a livello giurisprudenziale denotando chiaramente l'incapacità di risposta del nostro ordinamento agli obblighi che discendono dall'appartenenza al Consiglio d'Europa prima e dall'adesione alla Convenzione poi.

Durata ragionevole e rimedi eso-endo processuali

FESTA, VALERIO
2010/2011

Abstract

Il processo penale e il tempo rappresentano un binomio inscindibile: il primo, inteso come sequenza giudiziaria di atti composti in progressione lineare e collegati tra loro in relazione ordinata, non può (e non deve) prescindere dall'unità di misura temporale che scandisce questa progressione e la orienta ¿al futuro¿. L'importanza e la drammaticità che il fattore tempo riveste sia per l'imputato che per la collettività, sembrerebbe portare a ritenere indispensabile che il processo sia connotato da ¿rapidità¿ e ¿celerità¿, come se il bisogno di giustizia fosse inversamente proporzionale al tempo impiegato per giungere all'accertamento definitivo. Non sono necessarie particolari doti o conoscenze per intuire che la ¿celerità¿ non costituisce un valore assoluto, da perseguire ad ogni costo in quanto garanzia di una ¿sentenza certa e giusta¿. Un processo ¿lampo¿, caratterizzato da un eccessivo contenimento dei tempi processuali, comporta spesso, infatti, un accertamento frettoloso e sommario dal quale possono derivare altrettante sofferenze per l‟imputato ed una sorta di denegatio iustitiae per la persona offesa e l'intera collettività. Il processo quindi, pur rifuggendo da rallentamenti e lungaggini, deve mirare a bilanciare l'esigenza di speditezza con i principi regolatori della giustizia e con i diritti costituzionalmente garantiti. Il criterio cui il processo deve quindi ispirarsi è quello della ragionevolezza, fatto proprio dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo come parametro ¿universale¿ cui i legislatori nazionali devono rifarsi nel regolare le scansioni temporali dei loro processi. I diritti umani e nello specifico il diritto alla ragionevole durata in Europa sono assistiti da un sistema costituito da una pluralità di fonti che, interagendo tra di loro, hanno l'obiettivo comune di assicurare la tutela dell'individuo. Il problema della ¿ragionevole durata del processo¿ accomuna le esperienze nazionali e sovranazionali, ma in Italia tale fenomeno ha assunto proporzioni tali da spingere le istituzioni europee ad individuare il problema della irragionevole durata dei processi come ¿il caso italiano¿ per il carattere patologico che esso ha assunto nel nostro Paese. La garanzia del délai raisonnable, che ha assunto nel tempo un valore sempre più elevato, fino a assurgere al rango di principio costituzionale con la riforma dell'art. 111 Cost., resta un motivo di forte esposizione dello Stato italiano a livello internazionale, data l'incapacità dimostrata fino ad oggi dal nostro ordinamento di assicurarne la tutela. Grazie alla legge Pinto, la Corte Edu è potuta tornare a occupare il proprio ruolo di istanza giurisdizionale sussidiaria, anche se l'Italia è stata la nazione che ha riportato il maggior numero di condanne per l'eccessiva durata dei processi dinanzi a Strasburgo. Questo ha fatto sì che da alcuni anni ormai il nostro Paese ¿viva¿ come un sorvegliato speciale proprio perché il problema appare tutt'altro che risolto. La soluzione non è ancora stata trovata né a livello legislativo né a livello giurisprudenziale denotando chiaramente l'incapacità di risposta del nostro ordinamento agli obblighi che discendono dall'appartenenza al Consiglio d'Europa prima e dall'adesione alla Convenzione poi.
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