Oggi, forse come mai prima d'ora, la tutela dell'ambiente è tornata ad essere un tema di grande attenzione. Il merito di questo rinnovato interesse trova radice nelle mobilitazioni cittadine sempre più frequenti e risonanti. Viene rivendicato il diritto di essere ascoltati e considerati nelle decisioni che possono comportare effetti sull'ambiente in cui si vive. Un'istanza mossa dal sentimento di sfiducia diffusosi in rapporto a tre piani fondamentali: quello scientifico, quello rappresentativo e quello economico. In Italia, i motivi di tale sfiducia si inseriscono nel quadro di una crisi della democrazia e una crisi dei partiti ben più ampia. Nel campo ambientale il sentimento si accentua, ancora di più, per la complessità delle scelte che le istituzioni devono prendere in una ''società del rischio” e dall'assenza del determinante consenso dei cittadini. Le conseguenze possono avere risvolti importanti, e ne sono un esempio le sempre più frequenti paralizzazioni della costruzione di grandi opere dovute ai “conflitti di prossimità” nati tra decisori pubblici e cittadini. Una contestazione che ha preso le sembianze di un vero e proprio fenomeno conosciuto come la sindrome NIMBY (Not in My Back Yard). Con l'aumentare dei contrasti, è maturata una maggior consapevolezza della necessità di sviluppare strumenti partecipativi in grado di coinvolgere direttamente i cittadini all'interno dei processi decisionali pubblici inerenti l'ambiente. Un riconoscimento che è avvenuto soprattutto grazie alla spinta proveniente dall'ordinamento internazionale, in particolare dalla Convenzione di Århus e dai pilastri di democrazia ambientale che in questa vengono sanciti. L'elaborazione più compiuta di tale aspirazione si ha con la teoria di democrazia partecipativa, secondo la quale il cittadino non deve essere mero destinatario delle scelte dell'autorità ma collaboratore partecipe del governo della cosa pubblica. Quando il procedimento decisionale si svolge attraverso una discussione pubblica, in cui i cittadini sono chiamati a scambiarsi informazioni e punti di vista, la democrazia partecipativa trova applicazione nelle forme di democrazia deliberativa. L'ambito di applicazione di questi nuovi strumenti di partecipazione ha visto, proprio, nel diritto dell'ambiente svolgere il ruolo di <<diritto sonda>>. Lo scopo del lavoro, quindi, è quello di analizzare l'adeguatezza del livello di partecipazione all'interno dei procedimenti ambientali e i loro possibili sviluppi, dedicandosi in particolare al settore delle grandi opere. Nel I capitolo la ricerca si articola attorno all'analisi del fondamento normativo della partecipazione all'interno dell'ordinamento giuridico nazionale. In particolare mostrando quali siano i fattori di legame tra l'istituto partecipativo e l'ambiente e perché quest'ultimo abbia rappresentato il campo privilegiato per il loro sviluppo. Un approfondimento è rivolto alla spinta proveniente in tal senso dall'ordinamento europeo e internazionale, nello specifico dalla Convenzione di Århus e il II pilastro. Nel II capitolo l'analisi si sviluppa sul carattere speciale assunto dalla partecipazione nei procedimenti ambientali, con particolare riguardo all'effettiva implementazione data ai primi due pilastri sanciti da Århus, quali il diritto all'informazione ambientale e il diritto alla partecipazione del pubblico ai processi decisionali ambientali. Per quanto riguarda i procedimenti di localizzazione e progettazione delle grandi opere, invece, il III capitolo si concentra sullo studio degli spazi di partecipazione assicurati dalle garanzie partecipative introdotte nei procedimenti di VIA e VAS. Infine, viene approfondita la disciplina del dibattito pubblico nel nuovo Codice degli appalti alla luce del d.P.C.M. attuativo n. 76/2018, con l'obiettivo di evidenziarne vantaggi e criticità rispetto ai due modelli francese e toscano ispiratori.

Ambiente e democrazia: la partecipazione ai procedimenti amministrativi nel campo ambientale

LORUSSO, FRANCESCA
2019/2020

Abstract

Oggi, forse come mai prima d'ora, la tutela dell'ambiente è tornata ad essere un tema di grande attenzione. Il merito di questo rinnovato interesse trova radice nelle mobilitazioni cittadine sempre più frequenti e risonanti. Viene rivendicato il diritto di essere ascoltati e considerati nelle decisioni che possono comportare effetti sull'ambiente in cui si vive. Un'istanza mossa dal sentimento di sfiducia diffusosi in rapporto a tre piani fondamentali: quello scientifico, quello rappresentativo e quello economico. In Italia, i motivi di tale sfiducia si inseriscono nel quadro di una crisi della democrazia e una crisi dei partiti ben più ampia. Nel campo ambientale il sentimento si accentua, ancora di più, per la complessità delle scelte che le istituzioni devono prendere in una ''società del rischio” e dall'assenza del determinante consenso dei cittadini. Le conseguenze possono avere risvolti importanti, e ne sono un esempio le sempre più frequenti paralizzazioni della costruzione di grandi opere dovute ai “conflitti di prossimità” nati tra decisori pubblici e cittadini. Una contestazione che ha preso le sembianze di un vero e proprio fenomeno conosciuto come la sindrome NIMBY (Not in My Back Yard). Con l'aumentare dei contrasti, è maturata una maggior consapevolezza della necessità di sviluppare strumenti partecipativi in grado di coinvolgere direttamente i cittadini all'interno dei processi decisionali pubblici inerenti l'ambiente. Un riconoscimento che è avvenuto soprattutto grazie alla spinta proveniente dall'ordinamento internazionale, in particolare dalla Convenzione di Århus e dai pilastri di democrazia ambientale che in questa vengono sanciti. L'elaborazione più compiuta di tale aspirazione si ha con la teoria di democrazia partecipativa, secondo la quale il cittadino non deve essere mero destinatario delle scelte dell'autorità ma collaboratore partecipe del governo della cosa pubblica. Quando il procedimento decisionale si svolge attraverso una discussione pubblica, in cui i cittadini sono chiamati a scambiarsi informazioni e punti di vista, la democrazia partecipativa trova applicazione nelle forme di democrazia deliberativa. L'ambito di applicazione di questi nuovi strumenti di partecipazione ha visto, proprio, nel diritto dell'ambiente svolgere il ruolo di <>. Lo scopo del lavoro, quindi, è quello di analizzare l'adeguatezza del livello di partecipazione all'interno dei procedimenti ambientali e i loro possibili sviluppi, dedicandosi in particolare al settore delle grandi opere. Nel I capitolo la ricerca si articola attorno all'analisi del fondamento normativo della partecipazione all'interno dell'ordinamento giuridico nazionale. In particolare mostrando quali siano i fattori di legame tra l'istituto partecipativo e l'ambiente e perché quest'ultimo abbia rappresentato il campo privilegiato per il loro sviluppo. Un approfondimento è rivolto alla spinta proveniente in tal senso dall'ordinamento europeo e internazionale, nello specifico dalla Convenzione di Århus e il II pilastro. Nel II capitolo l'analisi si sviluppa sul carattere speciale assunto dalla partecipazione nei procedimenti ambientali, con particolare riguardo all'effettiva implementazione data ai primi due pilastri sanciti da Århus, quali il diritto all'informazione ambientale e il diritto alla partecipazione del pubblico ai processi decisionali ambientali. Per quanto riguarda i procedimenti di localizzazione e progettazione delle grandi opere, invece, il III capitolo si concentra sullo studio degli spazi di partecipazione assicurati dalle garanzie partecipative introdotte nei procedimenti di VIA e VAS. Infine, viene approfondita la disciplina del dibattito pubblico nel nuovo Codice degli appalti alla luce del d.P.C.M. attuativo n. 76/2018, con l'obiettivo di evidenziarne vantaggi e criticità rispetto ai due modelli francese e toscano ispiratori.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/128850