La tesi analizza il licenziamento discriminatorio quale forma di nullità del licenziamento poiché basato su un atto illecito che non ammette giustificazioni di alcun genere (vengono lesi dei diritti fondamentali del lavoratore e vanno tutelati i c.d. fattori di rischio quali: età, disabilità, genere, razza, opinione sindacale, malattia e fede religiosa) ed è regolato dall’art. 4 l. 604/1966. Questa specifica forma di nullità è stata voluta dal legislatore per garantire la parità di tutti i lavoratori che rivestono posizioni analoghe e sancire un divieto di trattamenti deteriori al sussistere di specifici fattori di protezione. Lo scritto è articolato in sei capitoli: il primo affronta la nozione di discriminazione sul lavoro attraverso l’analisi del codice delle pari opportunità d.lgs. 198/2006 ed un excursus sul diritto antidiscriminatorio individuando le discriminazioni dirette ed indirette. Nel secondo vengono analizzate le fonti europee ed internazionali volte alla lotta contro le discriminazioni; il terzo riguarda la normativa nazionale e l’evoluzione storica del licenziamento discriminatorio fino al Jobs Act del 2015; il quarto si concentra sulla differenza tra licenziamento discriminatorio (che opera obiettivamente) e licenziamento per motivo illecito ex art. 1345 c.c. (che opera in base alla volontà, all’animus discriminandi del datore) per poi affrontare la differenza tra discriminatorio e ritorsivo ed altri casi di nullità. Il quinto riguarda il regime delle impugnazioni del licenziamento e la difficile questione dell’onere della prova gravante sul lavoratore ricorrente che, tuttavia, gode di un ‘alleggerimento’ che lo agevola nella dimostrazione della prova dal momento che può fornire anche prove di carattere statistico, basate cioè su presunzioni e spetterà successivamente al datore provare l’inesistenza della discriminazione. Infine il sesto si concentra sulla casistica discriminatoria e l’orientamento della giurisprudenza approfondendo nello specifico il licenziamento discriminatorio nelle ‘organizzazioni di tendenza’. In questo caso infatti bisogna trovare il giusto equilibrio tra il bilanciamento di interessi che sono in gioco: il diritto di libertà religiosa del lavoratore ed il diritto del datore di poter praticare liberamente la religione e l’etica su cui si fonda l’organizzazione di cui è a capo. Anche qui il licenziamento discriminatorio è vietato poiché dettato da ragioni odiose che nulla hanno a che fare con l’ideologia promossa dalla tendenza, mentre il licenziamento ideologico, dovuto ad opinioni o condotte del lavoratore che non coincidono con quelle promosse dall’organizzazione, può essere lecito se retto da requisito essenziale, legittimo e giustificato in relazione anche alle mansioni neutre o caratterizzanti svolte dal lavoratore.
Il licenziamento discriminatorio
TOSI, FEDERICA
2020/2021
Abstract
La tesi analizza il licenziamento discriminatorio quale forma di nullità del licenziamento poiché basato su un atto illecito che non ammette giustificazioni di alcun genere (vengono lesi dei diritti fondamentali del lavoratore e vanno tutelati i c.d. fattori di rischio quali: età, disabilità, genere, razza, opinione sindacale, malattia e fede religiosa) ed è regolato dall’art. 4 l. 604/1966. Questa specifica forma di nullità è stata voluta dal legislatore per garantire la parità di tutti i lavoratori che rivestono posizioni analoghe e sancire un divieto di trattamenti deteriori al sussistere di specifici fattori di protezione. Lo scritto è articolato in sei capitoli: il primo affronta la nozione di discriminazione sul lavoro attraverso l’analisi del codice delle pari opportunità d.lgs. 198/2006 ed un excursus sul diritto antidiscriminatorio individuando le discriminazioni dirette ed indirette. Nel secondo vengono analizzate le fonti europee ed internazionali volte alla lotta contro le discriminazioni; il terzo riguarda la normativa nazionale e l’evoluzione storica del licenziamento discriminatorio fino al Jobs Act del 2015; il quarto si concentra sulla differenza tra licenziamento discriminatorio (che opera obiettivamente) e licenziamento per motivo illecito ex art. 1345 c.c. (che opera in base alla volontà, all’animus discriminandi del datore) per poi affrontare la differenza tra discriminatorio e ritorsivo ed altri casi di nullità. Il quinto riguarda il regime delle impugnazioni del licenziamento e la difficile questione dell’onere della prova gravante sul lavoratore ricorrente che, tuttavia, gode di un ‘alleggerimento’ che lo agevola nella dimostrazione della prova dal momento che può fornire anche prove di carattere statistico, basate cioè su presunzioni e spetterà successivamente al datore provare l’inesistenza della discriminazione. Infine il sesto si concentra sulla casistica discriminatoria e l’orientamento della giurisprudenza approfondendo nello specifico il licenziamento discriminatorio nelle ‘organizzazioni di tendenza’. In questo caso infatti bisogna trovare il giusto equilibrio tra il bilanciamento di interessi che sono in gioco: il diritto di libertà religiosa del lavoratore ed il diritto del datore di poter praticare liberamente la religione e l’etica su cui si fonda l’organizzazione di cui è a capo. Anche qui il licenziamento discriminatorio è vietato poiché dettato da ragioni odiose che nulla hanno a che fare con l’ideologia promossa dalla tendenza, mentre il licenziamento ideologico, dovuto ad opinioni o condotte del lavoratore che non coincidono con quelle promosse dall’organizzazione, può essere lecito se retto da requisito essenziale, legittimo e giustificato in relazione anche alle mansioni neutre o caratterizzanti svolte dal lavoratore.File | Dimensione | Formato | |
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