The improvement of therapeutic techniques, towards the middle of the twentieth century has sparked a lively debate on so-called "end of life decisions." Faced with situations "impossible", caused by the application of new scientific and technological findings, it is by many claimed the right to die with dignity, suspending treatment and medical interventions disabling. This technological breakthrough medicine introduces a reflection in terms of problems and not dogmatic about the definition of the purposes and limits of the legal protection of human life. You begin to doubt the duty to provide all medical interventions in favor of the preservation of human life, and weakens the idea that human life is always not susceptible of comparison with other interests, a value in excess of any assessment. The crux of the issue focused on the so-called "aggressive medical treatment", a term which means the set of medical interventions, from the therapeutic point of view unnecessary and disproportionate to the expected results, which do not allow for the recovery of the health of the patient, but prolong the vegetative life, delaying the process of dying irreversibly already started. In our age there has been a kind of Copernican revolution: we are besieged by fear in the minds of surviving beyond the limit allowed by the personal dignity, our desire, our ability to endure physical and mental suffering. It is attacked, then, not so much by the desire to claim and not just the desire to die, that man may well in some circumstances, but the right to die as a principle of self-determination, ie the will, by which man reaffirms dominion over their own lives. In this perspective, solidarity, typical of interpersonal relationships, turns into demands to support the right to die, in case you were not able to satisfy yourself, a gesture of compassion that opens the door to the legalization of euthanasia. For this reason, the legislator should feel on his shoulders the weight of a real obligation to regulate this matter, trying to provide an adequate response to the problem of euthanasia that is based on the integrity and inviolability of the person, the right to self-determination therapeutic and respect for human dignity, the supreme principles of the legal system. In these pages I have tried to get an overview of the current situation with regard to this matter, but never forget that the theme comes tearing, sensitivity to many, because of the shared difficulties to accept the end of a life.
Il miglioramento delle tecniche terapeutiche, verso la metà del Novecento ha suscitato un vivace dibattito sulle cosiddette ¿decisioni di fine vita¿. Di fronte a situazioni ¿impossibili¿, provocate dall'applicazione di nuove scoperte scientifico-tecnologiche, si è da più parti rivendicato il diritto a morire dignitosamente, sospendendo terapie e interventi medici invalidanti. Questa svolta tecnologica della medicina introduce una riflessione in termini problematici e non dogmatici circa la definizione degli scopi e dei limiti della tutela giuridica della vita umana. Si comincia a dubitare sulla doverosità di ogni intervento medico a favore della preservazione della vita umana, e si affievolisce l'idea che la vita umana sia sempre insuscettibile di comparazione con altri interessi, un valore al di sopra di qualsiasi valutazione. Il nodo della questione si è incentrato sul cosiddetto ¿accanimento terapeutico¿, termine con cui s'intende l'insieme di interventi medici, inutili dal punto di vista terapeutico e sproporzionati rispetto ai risultati attesi, che non consentono il recupero della salute del paziente, ma prolungano la vita vegetativa, procrastinando il processo di morte già irreversibilmente avviato. Nella nostra epoca si è assistito a una specie di rivoluzione copernicana: nella mente siamo assediati dalla paura di sopravvivere oltre il limite consentito dalla dignità personale, dal nostro desiderio, dalla nostra capacità di sopportare sofferenze fisiche e mentali. Si è assaliti, dunque, dalla voglia di rivendicare non tanto e non solo il desiderio di morire, che può scaturire nell'uomo in alcune circostanze, ma il diritto a morire come principio di autodeterminazione, ossia della volontà, con cui l'uomo riafferma il dominio sulla propria vita. In questa prospettiva la solidarietà, tipica dei rapporti interpersonali, si trasforma nella richiesta di sostenere il diritto a morire, nel caso in cui non si fosse in grado di soddisfarlo da soli, un gesto di pietà che apre la porta alla legittimazione dell'eutanasia. Per questo motivo il legislatore dovrebbe sentire sulle sue spalle il peso di un vero e proprio obbligo di disciplinare tale materia cercando di fornire un'adeguata risposta al problema dell'eutanasia che si fondi sull'integrità e inviolabilità della persona, sul diritto di autodeterminazione terapeutica e sul rispetto della dignità umana, principi supremi dell'ordinamento giuridico. In queste pagine ho cercato di delineare una panoramica della situazione attuale in merito a questo materia, ma senza mai dimenticare che il tema si presenta lacerante, per la sensibilità di molti, per via della condivisibile difficoltà di accettare la fine di una vita.
L'eutanasia: aspetti filosofico-giuridici sulla dolce morte
MAGGIORE, GEMMA
2012/2013
Abstract
Il miglioramento delle tecniche terapeutiche, verso la metà del Novecento ha suscitato un vivace dibattito sulle cosiddette ¿decisioni di fine vita¿. Di fronte a situazioni ¿impossibili¿, provocate dall'applicazione di nuove scoperte scientifico-tecnologiche, si è da più parti rivendicato il diritto a morire dignitosamente, sospendendo terapie e interventi medici invalidanti. Questa svolta tecnologica della medicina introduce una riflessione in termini problematici e non dogmatici circa la definizione degli scopi e dei limiti della tutela giuridica della vita umana. Si comincia a dubitare sulla doverosità di ogni intervento medico a favore della preservazione della vita umana, e si affievolisce l'idea che la vita umana sia sempre insuscettibile di comparazione con altri interessi, un valore al di sopra di qualsiasi valutazione. Il nodo della questione si è incentrato sul cosiddetto ¿accanimento terapeutico¿, termine con cui s'intende l'insieme di interventi medici, inutili dal punto di vista terapeutico e sproporzionati rispetto ai risultati attesi, che non consentono il recupero della salute del paziente, ma prolungano la vita vegetativa, procrastinando il processo di morte già irreversibilmente avviato. Nella nostra epoca si è assistito a una specie di rivoluzione copernicana: nella mente siamo assediati dalla paura di sopravvivere oltre il limite consentito dalla dignità personale, dal nostro desiderio, dalla nostra capacità di sopportare sofferenze fisiche e mentali. Si è assaliti, dunque, dalla voglia di rivendicare non tanto e non solo il desiderio di morire, che può scaturire nell'uomo in alcune circostanze, ma il diritto a morire come principio di autodeterminazione, ossia della volontà, con cui l'uomo riafferma il dominio sulla propria vita. In questa prospettiva la solidarietà, tipica dei rapporti interpersonali, si trasforma nella richiesta di sostenere il diritto a morire, nel caso in cui non si fosse in grado di soddisfarlo da soli, un gesto di pietà che apre la porta alla legittimazione dell'eutanasia. Per questo motivo il legislatore dovrebbe sentire sulle sue spalle il peso di un vero e proprio obbligo di disciplinare tale materia cercando di fornire un'adeguata risposta al problema dell'eutanasia che si fondi sull'integrità e inviolabilità della persona, sul diritto di autodeterminazione terapeutica e sul rispetto della dignità umana, principi supremi dell'ordinamento giuridico. In queste pagine ho cercato di delineare una panoramica della situazione attuale in merito a questo materia, ma senza mai dimenticare che il tema si presenta lacerante, per la sensibilità di molti, per via della condivisibile difficoltà di accettare la fine di una vita.File | Dimensione | Formato | |
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