Background: Drug therapy is the cornerstone of heart-failure treatment. Early use of all anti-decompensation drugs has been shown to improve patient survival. However, the introduction and titration of drug therapy is often limited by comorbidity, hypotension, particularly in patients with advanced heart failure. In addition, beta-blocker drugs in some patients may have a potentially harmful effect by negative inotropism and chronotropism. However, whether or not beta-blocker reduction provides clinical benefit has not been studied yet. The purpose of this study was to evaluate the clinical impact of beta-blocker reduction in patients with heart failure in terms of safety and efficacy. Methods: Patients were enrolled from June 2020 and followed until May 2022 in the heart-failure outpatient clinic of the AOU Cardiology University City of Health and Science of Turin. Clinical and instrumental data were collected for 12 months. Patients were divided into cases (patients in which beta-blocker was reduced during follow-up) and controls. A safety endpoint (composite of arrhythmic death and appropriate defibrillator interventions) and efficacy endpoints (composite of heart failure hospitalizations, LVAD implantation, heart transplantation, and death) were used. Results: 79 patients were enrolled: 54 controls and 25 cases. Cases had worse NYHA class (p=0.019), higher filling pressures assessed with trans-mitral doppler (p=0.004), worse right ventricular function (p 0.006). At 12-months follow-up, there were no differences in either safety endpoint (16% cases and 11.1% controls p=0.54) or efficacy endpoints (24% cases and 24.1% controls p=0.99). Survival curves also showed no significant differences between cases and controls. When it came to subgroup analysis: in the patients without advanced heart-failure, beta-blocker reduction showed a better event-free survival trend, partly explainable by the possibility of introducing or titrating the other "life-saving" drug classes. Conclusion: This study shows on one hand that, if indeed clinically indicated, reduction of beta-blocker therapy does not lead to increased arrhythmic risk and on the other hand, is not associated with a lower incidence of cardiovascular adverse events. In patients with no advanced condition, beta-blocker reduction facilitates the introduction of other classes of anti-decompensation drugs and could result in a clinical benefit in terms of hospitalizations and death rate.

Background: La terapia farmacologica è il cardine del trattamento dell'insufficienza cardiaca. È stato dimostrato che l'utilizzo precoce di tutti i farmaci antiscompenso migliora la sopravvivenza dei pazienti. Tuttavia, l'introduzione e la titolazione della terapia farmacologica è spesso limitata da comorbilità, ipotensione, in particolare nei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata. Inoltre, i farmaci beta-bloccanti in alcuni pazienti possono esercitare un effetto potenzialmente nocivo per inotropismo e cronotropismo negativi. Non è però ancora stato studiato se la riduzione del beta-bloccante dia dei benefici clinici. Scopo dello studio è stato quello di valutare l'impatto clinico della riduzione del beta-bloccante nei pazienti con scompenso cardiaco, in termini di sicurezza ed efficacia. Materiali e metodi: I pazienti sono stati arruolati a partire da giugno 2020 e seguiti fino a maggio 2022 nell’ambulatorio scompensi della Cardiologia Universitaria AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. Sono stati raccolti i dati clinici e strumentali per 12 mesi. I pazienti sono stati suddivisi in casi (pazienti cui è stato ridotto il beta-bloccante nel corso del follow up) e controlli. È stato utilizzato un endpoint di sicurezza (composito di morte aritmica e interventi appropriati del defibrillatore) e un endpoint di efficacia (composito di ricoveri per scompenso cardiaco, impianto di LVAD, trapianto di cuore e morte). Risultati e discussione: Sono stati arruolati 79 pazienti: 54 controlli e 25 casi. I casi presentavano una classe NYHA peggiore (p=0,019), pressioni di riempimento più alte, valutate al doppler transmitralico (p=0,004), funzione ventricolare destra peggiore (p 0,006). Nel follow up a 12 mesi non si sono evidenziate differenze sia per quanto riguarda l'endpoint di sicurezza (16% casi e 11,1% controlli p=0,54) sia per l'endpointi di efficacia (24% casi e 24,1% controlli p=0,99). Anche le curve di sopravvivenza non hanno evidenziato differenze significative tra casi e controlli. All'analisi per sottogruppi, nei pazienti senza quadro avanzato, la riduzione del beta-bloccante ha mostrato un trend verso una migliore sopravvivenza libera di eventi, in parte giustificabile dalla possibilità di introdurre o titolare le altre classi di farmaci “salvavita”. Conclusione: Questo studio mostra che, se ritenuto clinicamente indicato, la riduzione della terapia beta-bloccante non comporta un rischio aritmico aumentato e d’altra parte, non si associa ad una minore incidenza di eventi avversi cardiovascolari. Nei pazienti non in fase avanzata, la riduzione del beta-bloccante favorisce l’introduzione di altre classi di farmaci antiscompenso e potrebbe comportare un beneficio clinico in termini di ospedalizzazioni e morte.

Rimodulazione della terapia betabloccante in pazienti con scompenso cardiaco cronico: è possibile trarre beneficio dal bilanciamento fra classi di farmaci?

DE MATTEIS, ALESSANDRO
2021/2022

Abstract

Background: La terapia farmacologica è il cardine del trattamento dell'insufficienza cardiaca. È stato dimostrato che l'utilizzo precoce di tutti i farmaci antiscompenso migliora la sopravvivenza dei pazienti. Tuttavia, l'introduzione e la titolazione della terapia farmacologica è spesso limitata da comorbilità, ipotensione, in particolare nei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata. Inoltre, i farmaci beta-bloccanti in alcuni pazienti possono esercitare un effetto potenzialmente nocivo per inotropismo e cronotropismo negativi. Non è però ancora stato studiato se la riduzione del beta-bloccante dia dei benefici clinici. Scopo dello studio è stato quello di valutare l'impatto clinico della riduzione del beta-bloccante nei pazienti con scompenso cardiaco, in termini di sicurezza ed efficacia. Materiali e metodi: I pazienti sono stati arruolati a partire da giugno 2020 e seguiti fino a maggio 2022 nell’ambulatorio scompensi della Cardiologia Universitaria AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. Sono stati raccolti i dati clinici e strumentali per 12 mesi. I pazienti sono stati suddivisi in casi (pazienti cui è stato ridotto il beta-bloccante nel corso del follow up) e controlli. È stato utilizzato un endpoint di sicurezza (composito di morte aritmica e interventi appropriati del defibrillatore) e un endpoint di efficacia (composito di ricoveri per scompenso cardiaco, impianto di LVAD, trapianto di cuore e morte). Risultati e discussione: Sono stati arruolati 79 pazienti: 54 controlli e 25 casi. I casi presentavano una classe NYHA peggiore (p=0,019), pressioni di riempimento più alte, valutate al doppler transmitralico (p=0,004), funzione ventricolare destra peggiore (p 0,006). Nel follow up a 12 mesi non si sono evidenziate differenze sia per quanto riguarda l'endpoint di sicurezza (16% casi e 11,1% controlli p=0,54) sia per l'endpointi di efficacia (24% casi e 24,1% controlli p=0,99). Anche le curve di sopravvivenza non hanno evidenziato differenze significative tra casi e controlli. All'analisi per sottogruppi, nei pazienti senza quadro avanzato, la riduzione del beta-bloccante ha mostrato un trend verso una migliore sopravvivenza libera di eventi, in parte giustificabile dalla possibilità di introdurre o titolare le altre classi di farmaci “salvavita”. Conclusione: Questo studio mostra che, se ritenuto clinicamente indicato, la riduzione della terapia beta-bloccante non comporta un rischio aritmico aumentato e d’altra parte, non si associa ad una minore incidenza di eventi avversi cardiovascolari. Nei pazienti non in fase avanzata, la riduzione del beta-bloccante favorisce l’introduzione di altre classi di farmaci antiscompenso e potrebbe comportare un beneficio clinico in termini di ospedalizzazioni e morte.
Tailoring beta-blocker therapy in chronic heart failure: is it possible to take advantages by balancing different classes of drugs?
Background: Drug therapy is the cornerstone of heart-failure treatment. Early use of all anti-decompensation drugs has been shown to improve patient survival. However, the introduction and titration of drug therapy is often limited by comorbidity, hypotension, particularly in patients with advanced heart failure. In addition, beta-blocker drugs in some patients may have a potentially harmful effect by negative inotropism and chronotropism. However, whether or not beta-blocker reduction provides clinical benefit has not been studied yet. The purpose of this study was to evaluate the clinical impact of beta-blocker reduction in patients with heart failure in terms of safety and efficacy. Methods: Patients were enrolled from June 2020 and followed until May 2022 in the heart-failure outpatient clinic of the AOU Cardiology University City of Health and Science of Turin. Clinical and instrumental data were collected for 12 months. Patients were divided into cases (patients in which beta-blocker was reduced during follow-up) and controls. A safety endpoint (composite of arrhythmic death and appropriate defibrillator interventions) and efficacy endpoints (composite of heart failure hospitalizations, LVAD implantation, heart transplantation, and death) were used. Results: 79 patients were enrolled: 54 controls and 25 cases. Cases had worse NYHA class (p=0.019), higher filling pressures assessed with trans-mitral doppler (p=0.004), worse right ventricular function (p 0.006). At 12-months follow-up, there were no differences in either safety endpoint (16% cases and 11.1% controls p=0.54) or efficacy endpoints (24% cases and 24.1% controls p=0.99). Survival curves also showed no significant differences between cases and controls. When it came to subgroup analysis: in the patients without advanced heart-failure, beta-blocker reduction showed a better event-free survival trend, partly explainable by the possibility of introducing or titrating the other "life-saving" drug classes. Conclusion: This study shows on one hand that, if indeed clinically indicated, reduction of beta-blocker therapy does not lead to increased arrhythmic risk and on the other hand, is not associated with a lower incidence of cardiovascular adverse events. In patients with no advanced condition, beta-blocker reduction facilitates the introduction of other classes of anti-decompensation drugs and could result in a clinical benefit in terms of hospitalizations and death rate.
GIUSTETTO, CARLA
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