Nel lungo intreccio di questioni sollevate dal dibattito sul postmoderno e sul suo superamento, c'è un tema ¿ quello della soggettività ¿ che non può considerarsi esaurito. Se sulla crisi del reale ¿ l'idea di fondo che la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile ¿ pesa l'equivoca sovrapposizione tra il piano ontologico e quello epistemologico, la crisi del soggetto moderno, razionale e morale, appare suffragata da solidi elementi. Al processo di decentramento della soggettività concorrono non solo l'organizzazione sociale, sempre più ispirata a un ¿politeismo dei valori¿ e a una crescente estetizzazione dell'esperienza, ma anche la stessa psicologia scientifica, giunta talora a risultati paradossali. Il soggetto tradizionalmente inteso dalla modernità, modellato da Descartes secondo i caratteri dell'autotrasparenza e dotato della capacità di conoscere e ordinare, subisce un doppio scacco: la rivendicazione ¿estetica¿ del corpo come grande ragione e la denuncia scientifica dell'interiorità come mito. La netta separazione tra una soggettività moderna e una postmoderna richiama alla mente la distinzione del testo epocale La nascita della tragedia, in cui Nietzsche opera una distinzione quasi antropologica tra un modello di uomo teoretico ¿ ottimista, razionale, contemplativo e votato alla conoscenza ¿ e un modello di uomo tragico ¿ pessimista, intuitivo, diretto all'azione e all'esperienza, che fa dell'arte la sua cifra esistenziale. Proprio dall'opera del primo Nietzsche il lavoro prende le mosse, tentando un collegamento tra il tema nietzschiano della finzione e quello dell'autoinganno come ¿irrazionalità motivata¿, ricorrente negli studi sulla mente condotti negli ultimi decenni. Il lavoro intende, tra l'altro, prendere in esame i rischi di una decostruzione esasperata e di una deriva dell'¿io debole¿: la sofferenza mentale, quella più comune e meno suggestiva, consiste proprio, perlopiù, in un indebolimento dell'io e della realtà. Viceversa è difficile immaginare una vera destrutturazione la quale non abbia ripercussioni psichiche.
Uomo teoretico e uomo tragico. La crisi del soggetto razionale a partire da Friedrich Nietzsche.
DO, ALBERTO
2013/2014
Abstract
Nel lungo intreccio di questioni sollevate dal dibattito sul postmoderno e sul suo superamento, c'è un tema ¿ quello della soggettività ¿ che non può considerarsi esaurito. Se sulla crisi del reale ¿ l'idea di fondo che la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile ¿ pesa l'equivoca sovrapposizione tra il piano ontologico e quello epistemologico, la crisi del soggetto moderno, razionale e morale, appare suffragata da solidi elementi. Al processo di decentramento della soggettività concorrono non solo l'organizzazione sociale, sempre più ispirata a un ¿politeismo dei valori¿ e a una crescente estetizzazione dell'esperienza, ma anche la stessa psicologia scientifica, giunta talora a risultati paradossali. Il soggetto tradizionalmente inteso dalla modernità, modellato da Descartes secondo i caratteri dell'autotrasparenza e dotato della capacità di conoscere e ordinare, subisce un doppio scacco: la rivendicazione ¿estetica¿ del corpo come grande ragione e la denuncia scientifica dell'interiorità come mito. La netta separazione tra una soggettività moderna e una postmoderna richiama alla mente la distinzione del testo epocale La nascita della tragedia, in cui Nietzsche opera una distinzione quasi antropologica tra un modello di uomo teoretico ¿ ottimista, razionale, contemplativo e votato alla conoscenza ¿ e un modello di uomo tragico ¿ pessimista, intuitivo, diretto all'azione e all'esperienza, che fa dell'arte la sua cifra esistenziale. Proprio dall'opera del primo Nietzsche il lavoro prende le mosse, tentando un collegamento tra il tema nietzschiano della finzione e quello dell'autoinganno come ¿irrazionalità motivata¿, ricorrente negli studi sulla mente condotti negli ultimi decenni. Il lavoro intende, tra l'altro, prendere in esame i rischi di una decostruzione esasperata e di una deriva dell'¿io debole¿: la sofferenza mentale, quella più comune e meno suggestiva, consiste proprio, perlopiù, in un indebolimento dell'io e della realtà. Viceversa è difficile immaginare una vera destrutturazione la quale non abbia ripercussioni psichiche.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/127596