The dominant presence of the themes of witchcraft and magic in Emily Dickinson's poems and letters pushed me to analyze the way in which the voice of the first and greatest woman poet in America broke the silence in which women, since the beginning of western culture, were confined. The love of herbs and flowers, the series of sparkling emblems, signs and colors which deal with the supernatural (circumference, lightning, volcanic lava, butterfly, spider, bee) contribute to a poetic experience generating «awe», that is wonder and terror at the same time, because we can find in it the very seed of heresy, which finally fecundates the lines. In the oracular and melodic diction of Dickinson's internal tongue, the rhythm of dissenting breath, that one of the ancestors without a pedigree, who were persecuted and burnt at the stake, is sealed as in a sacred temple. Simultaneously the crossing of the syllables uttered by wind, by singing birds, by occult artists presiding at the poems, is inscribed in silences overflowing with meaning, where the audacious visitor, the reader, the listener, the one who dialogs with the text, suspended between abyss and immortality, dares to enter. The «infected» syntax, which is elliptic and obscure, shelters the disease of the female writing, which cannot find antecedents in a patriarchal tradition, guilty of denying autonomy and authority to women, and even it inhales the anxiety of the authorship felt by a woman artist. Raising her voice to contrast the darkness Emily Dickinson chooses to reconnect poetry to the unbroken magic spell that brings back to the page the body of the woman, that recomposes the split between body and intellect, that translates the writing in physical contact with those unseen hands of the addressee who will collect and foster it.
A partire dalla dominante presenza dei motivi della stregoneria e della magia nel canzoniere e nell'epistolario di Emily Dickinson, ho analizzato in che modo la voce della prima e più grande poetessa americana abbia finalmente spezzato il silenzio a cui la donna, fin dagli albori della cultura occidentale, è stata condannata. Appassionata, come una strega, di erbe, piante e fiori, accompagnata da una sfolgorante serie di emblemi, segni, colori e controfigure che hanno a che fare con il soprannaturale (circonferenza, lampo, lava, farfalla, ragno, ape) Emily Dickinson si fa portatrice di un'esperienza poetica generatrice di «awe», meravigliosa e terrificante al tempo stesso, poiché depositaria di un seme di eresia che finalmente torna a fecondare i versi. Nella dizione oracolare e melodiosa della lingua interna dickinsoniana è sigillato, come in un tempio sacro, il ritmo di un respiro dissenziente, quello delle progenitrici streghe senza lignaggio, perseguitate e mandate al rogo. Al tempo stesso l'incrociarsi delle sillabe pronunciate dal vento, dagli uccelli cantori, dagli artisti occulti che presiedono ai versi si inscrive in silenzi traboccanti di significato, in cui si introduce, sospeso tra abisso e immortalità, l'audace visitatore, colui che legge, ascolta, dialoga con il testo. La sintassi ¿infetta¿, ellittica, oscura, accoglie la malattia della scrittura femminile, che non trova antecedenti nella tradizione patriarcale colpevole di negare autonomia e autorità alla donna, che inala tutta l'ansietà provata dall'artista donna nei confronti dell'¿autorship¿. Innalzando la propria voce a contrastare la tenebra Emily Dickinson sceglie di riaccordarsi all'incantesimo mai definitivamente spezzato, quello che infine riporta sulla pagina la presenza corporea femminile, ricompone l'antica frattura tra corpo e intelletto, traduce la scrittura in contatto con le ¿invisibili mani¿ dei destinatari che la raccoglieranno e custodiranno.
"All the Witchcraft that we need". La poesia di Emily Dickinson: il sillabario di una strega
RICCOBENE, MIRIAM
2010/2011
Abstract
A partire dalla dominante presenza dei motivi della stregoneria e della magia nel canzoniere e nell'epistolario di Emily Dickinson, ho analizzato in che modo la voce della prima e più grande poetessa americana abbia finalmente spezzato il silenzio a cui la donna, fin dagli albori della cultura occidentale, è stata condannata. Appassionata, come una strega, di erbe, piante e fiori, accompagnata da una sfolgorante serie di emblemi, segni, colori e controfigure che hanno a che fare con il soprannaturale (circonferenza, lampo, lava, farfalla, ragno, ape) Emily Dickinson si fa portatrice di un'esperienza poetica generatrice di «awe», meravigliosa e terrificante al tempo stesso, poiché depositaria di un seme di eresia che finalmente torna a fecondare i versi. Nella dizione oracolare e melodiosa della lingua interna dickinsoniana è sigillato, come in un tempio sacro, il ritmo di un respiro dissenziente, quello delle progenitrici streghe senza lignaggio, perseguitate e mandate al rogo. Al tempo stesso l'incrociarsi delle sillabe pronunciate dal vento, dagli uccelli cantori, dagli artisti occulti che presiedono ai versi si inscrive in silenzi traboccanti di significato, in cui si introduce, sospeso tra abisso e immortalità, l'audace visitatore, colui che legge, ascolta, dialoga con il testo. La sintassi ¿infetta¿, ellittica, oscura, accoglie la malattia della scrittura femminile, che non trova antecedenti nella tradizione patriarcale colpevole di negare autonomia e autorità alla donna, che inala tutta l'ansietà provata dall'artista donna nei confronti dell'¿autorship¿. Innalzando la propria voce a contrastare la tenebra Emily Dickinson sceglie di riaccordarsi all'incantesimo mai definitivamente spezzato, quello che infine riporta sulla pagina la presenza corporea femminile, ricompone l'antica frattura tra corpo e intelletto, traduce la scrittura in contatto con le ¿invisibili mani¿ dei destinatari che la raccoglieranno e custodiranno.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/127432