A partire dalla fine dello scorso secolo, diversi studiosi si sono interrogati circa la possibilità che la conoscenza e l'erudizione, nonché il ¿know and know how¿, potessero non bastare per condurre ciascuno di noi al successo o alla soddisfazione personale. Tuttavia, solo nel 1995, Daniel Goleman, titolare di cattedra presso la prestigiosa università ¿Harvard¿ e collaboratore scientifico del ¿New York Times¿, pubblica ¿Intelligenza Emotiva¿, in cui analizza a fondo la relazione che esiste tra la razionalità e le emozioni, pervenendo non tanto a delle conclusioni, ma a delle vere e proprie rivelazioni in merito. Quali possono essere i fattori che portano individui con un elevato quoziente intellettivo a fallire in situazioni in cui persone con un QI decisamente inferiore danno prestazioni decisamente sopra le aspettative? Ebbene, molto spesso la differenza consta in un insieme di capacità collettive che possiamo chiamare intelligenza emotiva, un concetto che include l'autocontrollo, l'entusiasmo e la perseveranza, nonché la resilienza e la capacità di automotivarsi. In effetti, quando arriva il momento di prendere una decisione difficile, ovvero momenti in cui le azioni prendono forma, i sentimenti e le emozioni che si sviluppano contano almeno quanto il pensiero razionale, e spesso anche di più. Qualunque sia la situazione nella quale ci si ritrova, se le emozioni prendono il sopravvento sulla razionalità umana, l'intelligenza può non essere di alcun aiuto per ognuno di noi. Come si vedrà, l'intelligenza emotiva si basa anche sull'empatia e sull'autoconsapevolezza, punti di partenza del giudizio e dell'azione morale. In effetti, quando in organizzazioni fortemente gerarchiche si sente parlare di temperanza, bisognerebbe associarla all'equilibrio e non alla soppressione delle emozioni, dato che ogni sentimento ha il suo valore ed il suo specifico significato: una vera e propria fonte di arricchimento. Allo stesso modo, però, i sentimenti estremi e le emozioni che diventano troppo intense, o durano troppo a lungo, minano la nostra stabilità, inducendoci in errore. Se è vero quanto detto sino ad ora, potrà essere l'intelligenza emotiva e la conseguente padronanza delle proprie emozioni e dei propri sentimenti un valore aggiunto per un comandante di uomini? Se sì, come cambierebbero le dinamiche sovraordinato-subordinato in funzione di ciò? In sostanza, la presente relazione si pone come obiettivo quello di considerare ed analizzare, prima di tutto, l'intelligenza emotiva come insieme di capacità umane, per poi provare ad applicare questo concetto alle organizzazioni fortemente gerarchiche, prendendo in esame il caso delle Forze Armate, al fine di comprendere quanto importante, determinante ed indispensabile sia questa capacità in una struttura che apparentemente sembra poter essere asettica.

L'intelligenza emotiva nelle organizzazioni gerarchie: il caso delle Forze Armate.

FERRAIOLI, GIUSEPPE
2017/2018

Abstract

A partire dalla fine dello scorso secolo, diversi studiosi si sono interrogati circa la possibilità che la conoscenza e l'erudizione, nonché il ¿know and know how¿, potessero non bastare per condurre ciascuno di noi al successo o alla soddisfazione personale. Tuttavia, solo nel 1995, Daniel Goleman, titolare di cattedra presso la prestigiosa università ¿Harvard¿ e collaboratore scientifico del ¿New York Times¿, pubblica ¿Intelligenza Emotiva¿, in cui analizza a fondo la relazione che esiste tra la razionalità e le emozioni, pervenendo non tanto a delle conclusioni, ma a delle vere e proprie rivelazioni in merito. Quali possono essere i fattori che portano individui con un elevato quoziente intellettivo a fallire in situazioni in cui persone con un QI decisamente inferiore danno prestazioni decisamente sopra le aspettative? Ebbene, molto spesso la differenza consta in un insieme di capacità collettive che possiamo chiamare intelligenza emotiva, un concetto che include l'autocontrollo, l'entusiasmo e la perseveranza, nonché la resilienza e la capacità di automotivarsi. In effetti, quando arriva il momento di prendere una decisione difficile, ovvero momenti in cui le azioni prendono forma, i sentimenti e le emozioni che si sviluppano contano almeno quanto il pensiero razionale, e spesso anche di più. Qualunque sia la situazione nella quale ci si ritrova, se le emozioni prendono il sopravvento sulla razionalità umana, l'intelligenza può non essere di alcun aiuto per ognuno di noi. Come si vedrà, l'intelligenza emotiva si basa anche sull'empatia e sull'autoconsapevolezza, punti di partenza del giudizio e dell'azione morale. In effetti, quando in organizzazioni fortemente gerarchiche si sente parlare di temperanza, bisognerebbe associarla all'equilibrio e non alla soppressione delle emozioni, dato che ogni sentimento ha il suo valore ed il suo specifico significato: una vera e propria fonte di arricchimento. Allo stesso modo, però, i sentimenti estremi e le emozioni che diventano troppo intense, o durano troppo a lungo, minano la nostra stabilità, inducendoci in errore. Se è vero quanto detto sino ad ora, potrà essere l'intelligenza emotiva e la conseguente padronanza delle proprie emozioni e dei propri sentimenti un valore aggiunto per un comandante di uomini? Se sì, come cambierebbero le dinamiche sovraordinato-subordinato in funzione di ciò? In sostanza, la presente relazione si pone come obiettivo quello di considerare ed analizzare, prima di tutto, l'intelligenza emotiva come insieme di capacità umane, per poi provare ad applicare questo concetto alle organizzazioni fortemente gerarchiche, prendendo in esame il caso delle Forze Armate, al fine di comprendere quanto importante, determinante ed indispensabile sia questa capacità in una struttura che apparentemente sembra poter essere asettica.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/127167