L'elaborato vuole evidenziare i limiti che ha riscontrato la tutela dell'ambiente nel tempo, in particolare con riferimento al diritto penale. Si parte dal contesto sociale e politico internazionale per comprendere il ritardo con cui si è arrivati all'identificazione del problema “ambiente” e ai primi interventi significativi in materia, per poi passare alla conseguente lentezza con cui si è proceduto alla definizione e al riconoscimento a livello giuridico di ambiente in dottrina, Costituzione e giurisprudenza. Ci si focalizza poi sugli attori che per la loro posizione economica rivestono un ruolo fondamentale nell'argomento ossia le multinazionali, che devono bilanciare costantemente produttività e obiettivi aziendali con la tutela dell'ambiente e della salute dei lavoratori. A tale proposito, ci si chiede perché tali soggetti rimangano spesso impuniti per le violazioni ambientali commesse. Per rispondere alla questione si fa riferimento in primis agli elementi che caratterizzano i crimini di impresa e che vanno ad influenzare i processi di criminalizzazione; poi, alla difficoltà di individuare chi ha la responsabilità penale in sistemi aziendali cosi complessi; inoltre, al fatto che si sia prevista una forma di responsabilità da reato per gli enti solo nel 2001, in cui i reati ambientali rientrano dal 2011; e infine si delineano ulteriori cause di impunibilità nelle lacune della stessa normativa penale ambientale, analizzata nel testo. Essa infatti è sempre stata caratterizzata da disorganicità e incompletezza. Il Codice dell'ambiente del 2006 pur uniformando in parte la materia l'ha regolamentata prevalentemente tramite contravvenzioni basate su valori-soglia, con termini prescrizionali brevi e sanzioni leggere. Si è arrivati solamente nel 2015 all'introduzione nel Codice penale del titolo VI-bis “Delitti contro l'ambiente” e alla predisposizione di ulteriori strumenti al fine di garantire una maggior tutela. Quanto sostenuto è infine esemplificato dal Caso Eternit: a causa dell'esposizione continuativa e perdurante al cemento-amianto della multinazionale è stato realizzato un vero e proprio disastro sanitario (quasi tremila vittime tra malati e morti) ma si son visti i reati contestati cadere in prescrizione per via della mancanza di strumenti idonei a tutelare l'ambiente e la salute che ha reso necessario l'utilizzo di fattispecie, rintracciabili tra i delitti contro l'incolumità pubblica, non adatte al caso concreto. Se il legislatore fosse intervenuto prima le vittime e le parti civili avrebbero avuto più giustizia e l'ambiente avrebbe avuto la tutela che merita.

I limiti del diritto penale nella tutela dell'ambiente

SGARBI, MARTA
2019/2020

Abstract

L'elaborato vuole evidenziare i limiti che ha riscontrato la tutela dell'ambiente nel tempo, in particolare con riferimento al diritto penale. Si parte dal contesto sociale e politico internazionale per comprendere il ritardo con cui si è arrivati all'identificazione del problema “ambiente” e ai primi interventi significativi in materia, per poi passare alla conseguente lentezza con cui si è proceduto alla definizione e al riconoscimento a livello giuridico di ambiente in dottrina, Costituzione e giurisprudenza. Ci si focalizza poi sugli attori che per la loro posizione economica rivestono un ruolo fondamentale nell'argomento ossia le multinazionali, che devono bilanciare costantemente produttività e obiettivi aziendali con la tutela dell'ambiente e della salute dei lavoratori. A tale proposito, ci si chiede perché tali soggetti rimangano spesso impuniti per le violazioni ambientali commesse. Per rispondere alla questione si fa riferimento in primis agli elementi che caratterizzano i crimini di impresa e che vanno ad influenzare i processi di criminalizzazione; poi, alla difficoltà di individuare chi ha la responsabilità penale in sistemi aziendali cosi complessi; inoltre, al fatto che si sia prevista una forma di responsabilità da reato per gli enti solo nel 2001, in cui i reati ambientali rientrano dal 2011; e infine si delineano ulteriori cause di impunibilità nelle lacune della stessa normativa penale ambientale, analizzata nel testo. Essa infatti è sempre stata caratterizzata da disorganicità e incompletezza. Il Codice dell'ambiente del 2006 pur uniformando in parte la materia l'ha regolamentata prevalentemente tramite contravvenzioni basate su valori-soglia, con termini prescrizionali brevi e sanzioni leggere. Si è arrivati solamente nel 2015 all'introduzione nel Codice penale del titolo VI-bis “Delitti contro l'ambiente” e alla predisposizione di ulteriori strumenti al fine di garantire una maggior tutela. Quanto sostenuto è infine esemplificato dal Caso Eternit: a causa dell'esposizione continuativa e perdurante al cemento-amianto della multinazionale è stato realizzato un vero e proprio disastro sanitario (quasi tremila vittime tra malati e morti) ma si son visti i reati contestati cadere in prescrizione per via della mancanza di strumenti idonei a tutelare l'ambiente e la salute che ha reso necessario l'utilizzo di fattispecie, rintracciabili tra i delitti contro l'incolumità pubblica, non adatte al caso concreto. Se il legislatore fosse intervenuto prima le vittime e le parti civili avrebbero avuto più giustizia e l'ambiente avrebbe avuto la tutela che merita.
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