Starting from a perspective of health as strictly connected to the personal relational aspects with the reality and the people around, the dissertation concentrate on the therapeutic role of the maintenance, the organization and the re-elaboration of the relations with the outside world on the person; the focus on the human interactions and on their personal re-elaboration is one of the main working tool of the educator, who cannot ignore the social and family situation of the one with whom he works. This focus inside prison environments is connected with the notion of psychophysical health, that is questioned by the problems related to the custody. After a part dedicated to the evolution in time of the concept of health and to the issues related to the safeguard of the right to health, the first chapter examines the theorization by some authors of the existance of a “prison sickness”, its effects on the people in custody and on the whole society and the contribution of abolitionist movements that on these arguments base their commentary and their proposal of social justice. To bring the voice of who knowa the real needs of the prison population, I used for my second chapter qualitative and semi-structured interviews to workers and volounteers that know well the reality of prison in Turin and surroundings as it is lived from the incarcerated people. The questions focus on some of the elements that basically constitute a threat for the health and well-being of people in prison, as well as they focus on the ways to use these elements in a transformative way, from the perspective of the individuals and of the educational interventions. I concentrated especially on personal strategies of resilience, that activate mental processes of reflection of conceptual investigation that can lead to a real change in the personal perspective, and on the bond of this concept with the relational and communicational dimension that is hindered in prison by the limited and poorly organized spaces for the care for affections (speaking of parental visits, phone calls and alternative measures to detention) and for human interactions. These issues are faced on a daily basis by workers who try to create a change starting from the educational presence of people from outside the prison and from the possibility of creating a more open to the society jail through targeted re-educational courses. This possibility comes to light also through the recent example of the admission of tecnologies in jail, that became from a necessary tool for the health emergency from Covid-19 to a potential engine of change, demonstrating how and why this tool can and needs to be used, regulated and increased between prison walls, in order to increase the well-being and the much invoked security. It is so constituted a push to rethink the prison as a place where many people detect educational working areas, that are summed up in the third chapter of the dissertation.
A partire da una concezione della salute come elemento strettamente legato alla dimensione relazionale del singolo con la realtà e le persone che lo circondano, l'elaborato vuole concentrarsi sul ruolo terapeutico che ha sulla persona detenuta il mantenimento, l'organizzazione e la rielaborazione personale dei propri rapporti con il mondo esterno; il focus sulle relazioni umane e sulla loro rielaborazione da parte della persona è tra i principali strumenti di lavoro dell'educatore, che per innescare un cambiamento reale non può prescindere dalla situazione sociale e familiare del soggetto con cui lavora. Questo focus è in ambito penitenziario particolarmente connesso al concetto di salute psicofisica, che viene messa in discussione dalle problematiche legate alla detenzione. Dopo una parte dedicata all’evoluzione nel tempo del concetto di salute e alla legislazione e le criticità relative alla salvaguardia del diritto alla salute in carcere, il primo capitolo analizza la teorizzazione da parte di vari autori dell’esistenza di una “malattia di carcere”, i suoi effetti sulle persone detenute e sulla società tutta e il contributo di movimenti abolizionisti che su tali ragionamenti basano la loro critica e le loro proposte di giustizia sociale. Per poter riportare la voce di chi, rilevandoli quotidianamente, conosce i reali bisogni della popolazione carceraria, mi sono avvalso per l’elaborazione del secondo capitolo di interviste qualitative semi-strutturate a operatori e volontari che conoscono bene la realtà delle carceri di Torino e dintorni per come è vissuta dalle persone ristrette. Le domande si sono incentrate su alcuni degli elementi che fondamentalmente configurano un pericolo per la salute e il benessere delle persone recluse, ma anche sugli aspetti per sfruttare trasformativamente questi elementi, da un punto di vista degli individui e da quello degli interventi educativi. In particolare, mi sono voluto concentrare sulle strategie individuali di resilienza, che attivano processi mentali di riflessione e di approfondimento concettuale che possono portare al reale cambiamento della prospettiva personale, e sul legame di tale concetto con la dimensione relazionale e comunicativa che risulta in carcere ostacolata dai pochi e male organizzati spazi riservati agli affetti personali (a livello di colloqui, chiamate e ricorso a misure alternative alla detenzione) e ai momenti di confronto umano. Queste problematiche vengono affrontate quotidianamente da operatori che cercano di instaurare un cambiamento a partire dalla presenza educativa di persone esterne al carcere e dall’idea della possibilità di dare vita ad un carcere più aperto alla società tramite percorsi rieducativi mirati. Possibilità che viene alla luce anche tramite l'esempio recente dell'ingresso delle tecnologie in carcere, da strumento compensativo reso necessario dall'emergenza sanitaria da Covid-19 a potenziale motore di cambiamento, dimostrando come e perché questo strumento possa e debba essere utilizzato, regolarizzato e potenziato tra e mura del carcere al fine di migliorare il benessere e la tanto invocata sicurezza. Si configura così la spinta a ripensare il carcere come luogo in cui tanti rilevano spazi di lavoro educativo, che vengono riassunti nel terzo capitolo dell’elaborato.
CURA DEGLI AFFETTI, RAPPORTI CON L'ESTERNO E RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO: ASPETTI DI PROMOZIONE DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI DI RECLUSIONE
TRESSO, STEFANO
2019/2020
Abstract
A partire da una concezione della salute come elemento strettamente legato alla dimensione relazionale del singolo con la realtà e le persone che lo circondano, l'elaborato vuole concentrarsi sul ruolo terapeutico che ha sulla persona detenuta il mantenimento, l'organizzazione e la rielaborazione personale dei propri rapporti con il mondo esterno; il focus sulle relazioni umane e sulla loro rielaborazione da parte della persona è tra i principali strumenti di lavoro dell'educatore, che per innescare un cambiamento reale non può prescindere dalla situazione sociale e familiare del soggetto con cui lavora. Questo focus è in ambito penitenziario particolarmente connesso al concetto di salute psicofisica, che viene messa in discussione dalle problematiche legate alla detenzione. Dopo una parte dedicata all’evoluzione nel tempo del concetto di salute e alla legislazione e le criticità relative alla salvaguardia del diritto alla salute in carcere, il primo capitolo analizza la teorizzazione da parte di vari autori dell’esistenza di una “malattia di carcere”, i suoi effetti sulle persone detenute e sulla società tutta e il contributo di movimenti abolizionisti che su tali ragionamenti basano la loro critica e le loro proposte di giustizia sociale. Per poter riportare la voce di chi, rilevandoli quotidianamente, conosce i reali bisogni della popolazione carceraria, mi sono avvalso per l’elaborazione del secondo capitolo di interviste qualitative semi-strutturate a operatori e volontari che conoscono bene la realtà delle carceri di Torino e dintorni per come è vissuta dalle persone ristrette. Le domande si sono incentrate su alcuni degli elementi che fondamentalmente configurano un pericolo per la salute e il benessere delle persone recluse, ma anche sugli aspetti per sfruttare trasformativamente questi elementi, da un punto di vista degli individui e da quello degli interventi educativi. In particolare, mi sono voluto concentrare sulle strategie individuali di resilienza, che attivano processi mentali di riflessione e di approfondimento concettuale che possono portare al reale cambiamento della prospettiva personale, e sul legame di tale concetto con la dimensione relazionale e comunicativa che risulta in carcere ostacolata dai pochi e male organizzati spazi riservati agli affetti personali (a livello di colloqui, chiamate e ricorso a misure alternative alla detenzione) e ai momenti di confronto umano. Queste problematiche vengono affrontate quotidianamente da operatori che cercano di instaurare un cambiamento a partire dalla presenza educativa di persone esterne al carcere e dall’idea della possibilità di dare vita ad un carcere più aperto alla società tramite percorsi rieducativi mirati. Possibilità che viene alla luce anche tramite l'esempio recente dell'ingresso delle tecnologie in carcere, da strumento compensativo reso necessario dall'emergenza sanitaria da Covid-19 a potenziale motore di cambiamento, dimostrando come e perché questo strumento possa e debba essere utilizzato, regolarizzato e potenziato tra e mura del carcere al fine di migliorare il benessere e la tanto invocata sicurezza. Si configura così la spinta a ripensare il carcere come luogo in cui tanti rilevano spazi di lavoro educativo, che vengono riassunti nel terzo capitolo dell’elaborato.File | Dimensione | Formato | |
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