Pratiche di soggettivazione del Reale in Jacques Lacan

This thesis aims to propose modes of subjectification of the Real, which are not processes to be concluded but open practices. The main issue, both in theoretical and practicals terms, is to show the position, from time to time changing and eventual, of a knowledge. The best exponent of this acquisition is the French philosopher and psychoanalyst Jacques Lacan (1901-1981), here included in his necessary archive of sources, as well as of intellectual and human relations with the characters of his time: Lévi-Strauss, Jean Hyppolite, Raymond Quenau, Alexandre Kojève. The choise of Lacan, today, in philosophy, is intendend to keep one's own contingency in mind and to "know how to do" with the impossible, for a positioning that never bears the condemnation of the same or the definitive, and finally for a theory of truth that is not a gnoseology but the singular way of truth itself to inject a body that speaks. In this thesis, Jacques Lacan dialogues first of all with Lévi-Strauss: recalling the Foucault of The Words and Things (1966), we can define the research fields of the two philosophers - psychoanalysis and ethnology - as "a perpetual principle of restlessness, of problematization, of criticism and contestation of what elsewhere could seem acquired". Both psychoanalysis and ethnology go directly to the heart of the unconscious, without limiting themselves to fathom the conscience in order to trace what the unconscious consents to write. The unconscious which is focused passes integrally into the discourse, like impotence in the act, without compromise solutions. With respect to the state of the art in the Lacanian debate, which considers the last Lacan as a thinker of the immanence of an absolute enjoyable substance, the present thesis instead attempts to recover the Heideggerian and Kojèvian background in a perspective of finitude and Desire (Begierde) as manque-à-être. In order to address this crucial point we also refer to the debate of Lacan with Jean Hyppolite (1954-1955). The second chapter intends to demonstrate how the "becoming Real of the subject" coincides with "becoming subject of the Real", that is how the event of the impossible in our horizon of contingency does not preclude the subjectification, but rather is the most proper condition. To support the subject on his Real I have chosen to rehabilitate the argument of “the Nothing (still) nothings”, as guarantor of a "more-than-metaphysics", comparing it to “The Real (still) realizes”. The passage from significantization to the impossibility of signifying itself corresponds to the jump from not ceasing to write (Symbolic) to not ceasing not to write (Real), and vice versa, that happens in the way of contingency. The choice is to elevate Melville's Bartleby to figure of contingency, in his Deleuzian-Agambenian reception, for two reasons: to consign to philosophy the "technical" practicality of the sinthome, linking it to the power of non-writing in Giorgio Agamben's The Power of Thought (2005), and to seriously review the relationship between structure and psychosis, in the light of a deterritorialization of language. Finally, I propose a thematic reading of "dissolution" in Lacan's last unpublished Seminars, from L'insu que sait de l'une-bévue s'aile à mourre (1976-1977) to Le séminaire de Caracas (12 July 1980).

L'obiettivo di questa tesi è proporre delle modalità di soggettivazione del Reale, che non siano processi da concludere ma pratiche aperte. La questione che preme, sia nel luogo teoretico sia in quello pratico – onde scoprire che filosofia teoretica e pratiche filosofiche possono essere lo stesso – è il mostrare la posizione, di volta in volta cangiante ed eventuale, di un sapere; alla luce delle sue relazioni con l'altro sapere che ha contribuito a costituirlo nel suo luogo di fondazione. Il tramite reale di questa acquisizione è il filosofo e psicoanalista francese Jacques Lacan (1901-1981), qui inserito nel suo necessario archivio di fonti, nonché di rapporti intellettuali e umani con i personaggi del suo tempo (Lévi-Strauss, Jean Hyppolite, Raymond Quenau, Alexandre Kojève). Perché scegliere Lacan oggi, in filosofia? Per tener presente la propria contingenza e “saperci fare” con l'impossibile, per un posizionamento che non rechi mai la condanna dello stesso o del definitivo, e infine per una teoria della verità che non sia una gnoseologia ma il modo singolare della verità stessa di inerire a un corpo che la parla, ossia un "parlessere". L'intento etico è di non normalizzare l'inconscio nel discorso filosofico ma di rilevarlo nella sua autonomia di archivio di tracce mnestiche senza contenuto. L'intento più propriamente scientifico è di far entrare le pratiche di soggettivazione nel campo del discorso senza che questo ne risulti stravolto, ovvero di mostrare come un Reale, se inserito nell'ordine Simbolico, non lo scompagini ma ne garantisca la verità, prima insaputa. Rispetto allo stato dell'arte nel dibattito lacaniano, che pone il focus sull'ultimo Lacan come pensatore dell'immanenza di una sostanza godente assoluta, la presente tesi recupera invece il retroterra heideggeriano e kojèviano di un Lacan della finitudine e del Desiderio (Begierde) come manque-à-être. Il soggetto si soggettivizza sostenendosi su un atto reale che include l'angoscia della morte e che si pone nella béance linguistica, artefice della separazione della sua cultura dalla sua animalità. Nel secondo capitolo si intende dimostrare come il “divenire Reale del soggetto” equivalga a “divenire soggetto del Reale”, ovvero come l'evento dell'impossibile nel nostro orizzonte di contingenza non precluda la soggettivazione, ma anzi ne sia la condizione più propria. Per sostenere il soggetto sul suo Reale ho riabilitato l'argomento del Nulla nulleggia ancora come garante di un “più-di-metafisica”, accostandolo a un inedito Il Reale realeggia ancora. Il passaggio dalla significantizzazione all'impossibile a significantizzarsi corrisponde al salto dal non cessare di scriversi (Simbolico) al non cessare di non scriversi (Reale), e viceversa, che avviene nel modo della contingenza. La scelta è di elevare a figura della contingenza il Bartleby di Melville nella sua ricezione deleuziano-agambeniana, per due ragioni: consegnare alla filosofia la praticità “tecnica” del sinthomo, collegandolo alla potenza di non ne La potenza del pensiero di Giorgio Agamben (2005), e rivedere il rapporto tra struttura e psicosi, alla luce di una deterritorializzazione del linguaggio. Infine, propongo una lettura tematica della "dissoluzione" negli ultimi Seminari inediti, da L'insu que sait de l'une-bévue s'aile à mourre (1976-1977) a Le séminaire de Caracas (12 luglio 1980). ​