L'energia da fonti rinnovabili ha fatto registrare in questi ultimi anni un significativo aumento e si ipotizza che arriverà a rappresentare nel 2035 il 10% circa della produzione energetica totale, pur con un'ampia variabilità tra le diverse aree geografiche. Queste prospettive sono strettamente legate alle politiche sostenute dalle Nazioni Unite e dalla Comunità Europea (es. direttiva 2009/28/CE), allo scopo di ridurre il consumo di energia e le emissioni di gas serra. Per quanto riguarda i carburanti, l'Unione Europea ha principalmente investito sul biodiesel, come risulta dalla continua crescita del settore a partire dal 2002, a differenza di Stati Uniti e Brasile che hanno, invece, puntato sul bioetanolo. Dei 14Mton di biocarburanti utilizzati nell'Unione nel 2014, quasi l'80% è rappresentato dal biodiesel. Il prodotto di base per la produzione del biodiesel è l'olio, principalmente ottenuto da colza, girasole, soia, palma, lino, cartamo, ricino e arachide. In Europa, l'olio deriva soprattutto dal colza e dal girasole, mentre negli USA è in gran parte ottenuto dalla soia, prodotta localmente o nei paesi del sud America. La prima fase di produzione del biodiesel consiste nell'estrazione dell'olio dai semi delle colture oleaginose, mediante processi chimici o meccanici. Con la spremitura a freddo, parte dell'olio contenuto nei semi rimane nel panello (materiale residuato dalla spremitura) e successivamente estratto mediante l'impiego di solventi chimici con un processo economico ed efficace. Il primo impiego di un olio vegetale come biocombustibile, risale al 1898, quando Rudolf Diesel, presentò un prototipo di motore alimentato ad olio di arachidi puro. L'olio tal quale presenta, però, problemi di eccessiva viscosità. Per ovviare a questo inconveniente l'olio deve essere sottoposto a trans-esterificazione, un processo, conosciuto già dalla metà del XIX secolo, che consente di separare la glicerina dagli acidi grassi, attraverso l'aggiunta di un alcol e un di catalizzatore. Si ottiene, in questo modo, un carburante più fluido, che consente di migliorare la nebulizzazione nel sistema di iniezione dei motori e di ottimizzare la miscela carburante-ossigeno. La presenza del biodiesel nelle miscele di carburanti viene indicata con la sigla B seguita dalla sua % in volume. Tradizionalmente il biodiesel prodotto da oli vegetali freschi e di buona qualità è caratterizzato dall'assenza di zolfo o al massimo dalla presenza, a livello di tracce, di componenti secondari, quali fosfolipidi, vitamine, tocoferoli, clorofille e idrocarburi. Il contenuto di queste sostanze è legata al grado di lavorazione preliminare a cui viene sottoposto l'olio grezzo (deacidificazione, degommaggio, decolorazione, deodorazione, deidratazione e demargarinazione). Il biodiesel presenta una temperatura di accensione (flash point) notevolmente più alta rispetto a quella del diesel tradizionale, con conseguente garanzia di maggiore sicurezza nelle operazioni di trasporto e stoccaggio; inoltre non contenendo piombo, zolfo o componenti aromatici (toluene, benzene o xilene) permette una riduzione sostanziale di emissioni di inquinanti e idrocarburi incombusti, carbonio e polveri sottili (PM10, PM2,5), responsabili di importanti disturbi dell'apparato respiratorio. I biocarburanti causano, però, maggiori emissioni di NOx, rendendo necessaria l'applicazione di idonei filtri per il loro contenimento.

Colture da biodiesel: caratteristiche, criticità e opportunità.

ANDREOLI, FILIPPO
2015/2016

Abstract

L'energia da fonti rinnovabili ha fatto registrare in questi ultimi anni un significativo aumento e si ipotizza che arriverà a rappresentare nel 2035 il 10% circa della produzione energetica totale, pur con un'ampia variabilità tra le diverse aree geografiche. Queste prospettive sono strettamente legate alle politiche sostenute dalle Nazioni Unite e dalla Comunità Europea (es. direttiva 2009/28/CE), allo scopo di ridurre il consumo di energia e le emissioni di gas serra. Per quanto riguarda i carburanti, l'Unione Europea ha principalmente investito sul biodiesel, come risulta dalla continua crescita del settore a partire dal 2002, a differenza di Stati Uniti e Brasile che hanno, invece, puntato sul bioetanolo. Dei 14Mton di biocarburanti utilizzati nell'Unione nel 2014, quasi l'80% è rappresentato dal biodiesel. Il prodotto di base per la produzione del biodiesel è l'olio, principalmente ottenuto da colza, girasole, soia, palma, lino, cartamo, ricino e arachide. In Europa, l'olio deriva soprattutto dal colza e dal girasole, mentre negli USA è in gran parte ottenuto dalla soia, prodotta localmente o nei paesi del sud America. La prima fase di produzione del biodiesel consiste nell'estrazione dell'olio dai semi delle colture oleaginose, mediante processi chimici o meccanici. Con la spremitura a freddo, parte dell'olio contenuto nei semi rimane nel panello (materiale residuato dalla spremitura) e successivamente estratto mediante l'impiego di solventi chimici con un processo economico ed efficace. Il primo impiego di un olio vegetale come biocombustibile, risale al 1898, quando Rudolf Diesel, presentò un prototipo di motore alimentato ad olio di arachidi puro. L'olio tal quale presenta, però, problemi di eccessiva viscosità. Per ovviare a questo inconveniente l'olio deve essere sottoposto a trans-esterificazione, un processo, conosciuto già dalla metà del XIX secolo, che consente di separare la glicerina dagli acidi grassi, attraverso l'aggiunta di un alcol e un di catalizzatore. Si ottiene, in questo modo, un carburante più fluido, che consente di migliorare la nebulizzazione nel sistema di iniezione dei motori e di ottimizzare la miscela carburante-ossigeno. La presenza del biodiesel nelle miscele di carburanti viene indicata con la sigla B seguita dalla sua % in volume. Tradizionalmente il biodiesel prodotto da oli vegetali freschi e di buona qualità è caratterizzato dall'assenza di zolfo o al massimo dalla presenza, a livello di tracce, di componenti secondari, quali fosfolipidi, vitamine, tocoferoli, clorofille e idrocarburi. Il contenuto di queste sostanze è legata al grado di lavorazione preliminare a cui viene sottoposto l'olio grezzo (deacidificazione, degommaggio, decolorazione, deodorazione, deidratazione e demargarinazione). Il biodiesel presenta una temperatura di accensione (flash point) notevolmente più alta rispetto a quella del diesel tradizionale, con conseguente garanzia di maggiore sicurezza nelle operazioni di trasporto e stoccaggio; inoltre non contenendo piombo, zolfo o componenti aromatici (toluene, benzene o xilene) permette una riduzione sostanziale di emissioni di inquinanti e idrocarburi incombusti, carbonio e polveri sottili (PM10, PM2,5), responsabili di importanti disturbi dell'apparato respiratorio. I biocarburanti causano, però, maggiori emissioni di NOx, rendendo necessaria l'applicazione di idonei filtri per il loro contenimento.
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