Questo lavoro di tesi ragiona sulla figura del nemico come frutto di una costruzione sociale e strumento di manipolazione in chiave propagandistica funzionale alla mobilitazione popolare, focalizzandosi sull'origine dei conflitti violenti di matrice identitaria. Muovendo dall'idea della natura artificiale del concetto di identità-nemica ed esaminando le strategie dell'influenza sociale collegate alla creazione del consenso in contrapposizione ad essa, si vuole dimostrare come le implicazioni violente di un fenomeno bellico possano essere il risultato di un disegno manovrato da attori esterni. Plasmando profondamente tutti gli aspetti della vita sociale, la retorica del nemico crea, così, delle linee di resistenza che influiscono negativamente sull'efficacia delle operazioni di peacebuilding, le quali dovranno, secondo questa tesi, investire gli sforzi verso un processo inverso di decostruzione del nemico. Partendo dal presupposto che l'identità nasca da un processo relazionale di diversificazione reciproca, indispensabile allo scopo di definirne i connotati, nel primo capitolo viene discusso il caso specifico in cui l'Altro emerge come il nemico inconciliabile, oggetto di atti di estrema di violenza ed esclusione assoluta. Definiti i processi socio-cognitivi di esclusione del nemico dall'orizzonte morale e umano e descritte alcune delle teorie dell'azione collettiva orientata all'annientamento della minaccia, si vuole stabilire un filo connettore tra le potenzialità legittimanti della retorica del nemico e la sua strumentalizzazione da parte degli imprenditori del conflitto. Il secondo capitolo si focalizza sull'analisi delle tecniche di influenza sociale utilizzate dalla propaganda bellica allo scopo di plasmare le percezioni collettive così da indurre gli individui all'azione violenta e/o alla sua legittimazione contro il nemico. Attraverso una panoramica di contributi forniti da sociologi, psicologi e socio-linguisti, vengono delineate le tecniche persuasive di mobilitazione di massa, senza tralasciare, tuttavia, i requisiti e i limiti in riferimento ai fattori situazionali e ai mezzi di propagazione. Infine, il terzo capitolo prende in considerazione i processi di peacebuilding a partire dalla necessità di invertire il processo precedente, smontando l'impalcatura della retorica della minaccia veicolata dalla propaganda. Attuando una vera e propria azione di decostruzione, il nemico verrebbe così razionalizzato con un effetto derivato di ridimensionamento della percezione di minaccia stessa. Trattandosi di una materia di ricerca ancora giovane, i modelli esposti risultano il prodotto di esperienze empiriche piuttosto recenti, tuttavia utili a delineare le reali politiche avviate dal peacebuilding e le relative reazioni dei destinatari. La decisione di strutturare questa tesi in tre macro-capitoli che raccolgono in modo consequenziale le tre tappe della definizione del nemico, la sua manipolazione in chiave di propaganda e la decostruzione in fase risolutiva, è stata accompagnata dalla scelta di associare, per ciascuna area trattata, le relative fasi del caso ruandese. Il genocidio messo in atto in Ruanda nel 1994 è stato un evento unico in termini di partecipazione diffusa dei comuni cittadini alla realizzazione del massacro, caratterizzandosi come un laboratorio di studio senza precedenti dal punto di vista della mobilitazione popolare.
Costruzione e decostruzione del nemico e conseguenze sul peacebuilding
MATTANA, LAURA
2014/2015
Abstract
Questo lavoro di tesi ragiona sulla figura del nemico come frutto di una costruzione sociale e strumento di manipolazione in chiave propagandistica funzionale alla mobilitazione popolare, focalizzandosi sull'origine dei conflitti violenti di matrice identitaria. Muovendo dall'idea della natura artificiale del concetto di identità-nemica ed esaminando le strategie dell'influenza sociale collegate alla creazione del consenso in contrapposizione ad essa, si vuole dimostrare come le implicazioni violente di un fenomeno bellico possano essere il risultato di un disegno manovrato da attori esterni. Plasmando profondamente tutti gli aspetti della vita sociale, la retorica del nemico crea, così, delle linee di resistenza che influiscono negativamente sull'efficacia delle operazioni di peacebuilding, le quali dovranno, secondo questa tesi, investire gli sforzi verso un processo inverso di decostruzione del nemico. Partendo dal presupposto che l'identità nasca da un processo relazionale di diversificazione reciproca, indispensabile allo scopo di definirne i connotati, nel primo capitolo viene discusso il caso specifico in cui l'Altro emerge come il nemico inconciliabile, oggetto di atti di estrema di violenza ed esclusione assoluta. Definiti i processi socio-cognitivi di esclusione del nemico dall'orizzonte morale e umano e descritte alcune delle teorie dell'azione collettiva orientata all'annientamento della minaccia, si vuole stabilire un filo connettore tra le potenzialità legittimanti della retorica del nemico e la sua strumentalizzazione da parte degli imprenditori del conflitto. Il secondo capitolo si focalizza sull'analisi delle tecniche di influenza sociale utilizzate dalla propaganda bellica allo scopo di plasmare le percezioni collettive così da indurre gli individui all'azione violenta e/o alla sua legittimazione contro il nemico. Attraverso una panoramica di contributi forniti da sociologi, psicologi e socio-linguisti, vengono delineate le tecniche persuasive di mobilitazione di massa, senza tralasciare, tuttavia, i requisiti e i limiti in riferimento ai fattori situazionali e ai mezzi di propagazione. Infine, il terzo capitolo prende in considerazione i processi di peacebuilding a partire dalla necessità di invertire il processo precedente, smontando l'impalcatura della retorica della minaccia veicolata dalla propaganda. Attuando una vera e propria azione di decostruzione, il nemico verrebbe così razionalizzato con un effetto derivato di ridimensionamento della percezione di minaccia stessa. Trattandosi di una materia di ricerca ancora giovane, i modelli esposti risultano il prodotto di esperienze empiriche piuttosto recenti, tuttavia utili a delineare le reali politiche avviate dal peacebuilding e le relative reazioni dei destinatari. La decisione di strutturare questa tesi in tre macro-capitoli che raccolgono in modo consequenziale le tre tappe della definizione del nemico, la sua manipolazione in chiave di propaganda e la decostruzione in fase risolutiva, è stata accompagnata dalla scelta di associare, per ciascuna area trattata, le relative fasi del caso ruandese. Il genocidio messo in atto in Ruanda nel 1994 è stato un evento unico in termini di partecipazione diffusa dei comuni cittadini alla realizzazione del massacro, caratterizzandosi come un laboratorio di studio senza precedenti dal punto di vista della mobilitazione popolare.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/117957