Ogni stato di diritto democratico, come qualsiasi altra organizzazione politica, ha bisogno di confini, territoriali e politici, che stabiliscano i limiti della sua giurisdizione e del popolo de suoi cittadini. Ma come si determinano i confini della cittadinanza? In base a quali criteri una democrazia decide a quali soggetti spetta lo status di cittadino? A tale scopo, bisogna innanzitutto chiedersi quale sia il contenuto di quest'ultimo. Il termine "cittadino" ha assunto nel corso del tempo diversi significati, ma si può dire che sia sempre stato usato come indicatore della "piena appartenenza" di un individuo all'organizzazione politica di riferimento, democratica o meno. A seconda di come è stata intesa l'"appartenenza", sono cambiati invece i criteri per attribuire lo status, con i relativi diritti e doveri. Le democrazie occidentali contemporanee si trovano oggi a dover gestire gli effetti di un'intensa mobilità internazionale, non soltanto di un numero sempre maggiore di merci, ma anche di persone, perciò, definire i criteri di inclusione politica di nuovi e vecchi immigrati rappresenta un problema non più trascurabile, che ha cominciato a riguardare anche un paese con un passato di emigrazioni come l'Italia. E proprio l'Italia sarà il contesto di riferimento privilegiato di questa ricerca, che si propone di studiare il contenuto di diritti della cittadinanza democratica e i criteri di attribuzione della stessa, così come si sono costruiti a partire dalla fine del Settecento. A partire dalle definizioni di "nazione" e di "cittadinanza" espresse in Francia durante il periodo della Rivoluzione, si cercherà infatti di capire le ragioni che hanno giustificato l'esclusione di alcuni tipi di soggetti. Ma le costituzioni democratiche e le carte dei diritti universali firmate nella seconda metà del Novecento quali tipi di esclusioni permettono oggi di giustificare? Dato che i diritti politici fondamentali, di elettorato attivo e passivo, rappresentano il nucleo essenziale dello status di cittadino, è possibile che una democrazia stabilisca le proprie politiche di naturalizzazione in base a criteri che mirano a preservare una certa identità culturale nella società, condizionando l'esercizio del voto a un'assimilazione non semplicemente politica? Il fatto che per l'attribuzione di tali diritti si attui un trattamento differenziato sulla base del principio di discendenza (ius sanguinis) non sembra conforme ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza. E ciò appare con più evidenza nel confronto fra gli immigrati con carta di soggiorno e i cosiddetti "italiani all'estero". Infatti, secondo le disposizioni della legislazione italiana, alcuni di coloro che sono soggetti all'ordinamento e contribuiscono stabilmente al funzionamento del sistema economico e sociale del paese, rischiano di non avere voce nelle decisioni collettive per più di dieci anni, mentre alcuni individui che non hanno mai risieduto in Italia e non hanno mai contribuito al finanziamento della spesa pubblica, hanno diritto a essere rappresentati e a farsi eleggere in Parlamento. Non è quindi auspicabile una modifica della legge italiana e una riformulazione dei requisiti della cittadinanza, in modo che risultino più coerenti con il suo significato politico?

Cittadinanza. L'appartenenza politica come problema

COSENTINO, CORINNA
2010/2011

Abstract

Ogni stato di diritto democratico, come qualsiasi altra organizzazione politica, ha bisogno di confini, territoriali e politici, che stabiliscano i limiti della sua giurisdizione e del popolo de suoi cittadini. Ma come si determinano i confini della cittadinanza? In base a quali criteri una democrazia decide a quali soggetti spetta lo status di cittadino? A tale scopo, bisogna innanzitutto chiedersi quale sia il contenuto di quest'ultimo. Il termine "cittadino" ha assunto nel corso del tempo diversi significati, ma si può dire che sia sempre stato usato come indicatore della "piena appartenenza" di un individuo all'organizzazione politica di riferimento, democratica o meno. A seconda di come è stata intesa l'"appartenenza", sono cambiati invece i criteri per attribuire lo status, con i relativi diritti e doveri. Le democrazie occidentali contemporanee si trovano oggi a dover gestire gli effetti di un'intensa mobilità internazionale, non soltanto di un numero sempre maggiore di merci, ma anche di persone, perciò, definire i criteri di inclusione politica di nuovi e vecchi immigrati rappresenta un problema non più trascurabile, che ha cominciato a riguardare anche un paese con un passato di emigrazioni come l'Italia. E proprio l'Italia sarà il contesto di riferimento privilegiato di questa ricerca, che si propone di studiare il contenuto di diritti della cittadinanza democratica e i criteri di attribuzione della stessa, così come si sono costruiti a partire dalla fine del Settecento. A partire dalle definizioni di "nazione" e di "cittadinanza" espresse in Francia durante il periodo della Rivoluzione, si cercherà infatti di capire le ragioni che hanno giustificato l'esclusione di alcuni tipi di soggetti. Ma le costituzioni democratiche e le carte dei diritti universali firmate nella seconda metà del Novecento quali tipi di esclusioni permettono oggi di giustificare? Dato che i diritti politici fondamentali, di elettorato attivo e passivo, rappresentano il nucleo essenziale dello status di cittadino, è possibile che una democrazia stabilisca le proprie politiche di naturalizzazione in base a criteri che mirano a preservare una certa identità culturale nella società, condizionando l'esercizio del voto a un'assimilazione non semplicemente politica? Il fatto che per l'attribuzione di tali diritti si attui un trattamento differenziato sulla base del principio di discendenza (ius sanguinis) non sembra conforme ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza. E ciò appare con più evidenza nel confronto fra gli immigrati con carta di soggiorno e i cosiddetti "italiani all'estero". Infatti, secondo le disposizioni della legislazione italiana, alcuni di coloro che sono soggetti all'ordinamento e contribuiscono stabilmente al funzionamento del sistema economico e sociale del paese, rischiano di non avere voce nelle decisioni collettive per più di dieci anni, mentre alcuni individui che non hanno mai risieduto in Italia e non hanno mai contribuito al finanziamento della spesa pubblica, hanno diritto a essere rappresentati e a farsi eleggere in Parlamento. Non è quindi auspicabile una modifica della legge italiana e una riformulazione dei requisiti della cittadinanza, in modo che risultino più coerenti con il suo significato politico?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/116785