HCV infection affects over 130 million people around the world and it is the second main cause of liver cancer. Originally, its therapy included the administration of INFα alone: better clinical answers have then been obtained thanks to the association of ribavirin (RBV), a nucleoside analogue of guanosine. This molecule acts like a prodrug, since, if monophosphorylated (RMP), it inhibits inosin monophosphate dehydrogenase, thus blocking guanosin synthesis, while if triphosphorilated (RTP), it can be integrated in virus genome, thus leading to replicative mistakes. Unfortunately, RBV therapy involves several side effects, among which the most frequent (about 33% of patients) is hemolytic anemia: it is the first cause of interruption of the therapy and of the reduction of RBV dose, with negative impacts on the outcome. Therefore, it is essential to identify early patients at risk of developing anemia, giving the possibility to intervene and eventually modify the therapeutic approach. In some studies it has been highlighted how RBV accumulates in erythrocytes as phosphorilated metabolites, which are believed to be responsible for hemolysis. The purpose of this study was to identify new parameters which could be used as early ¿markers¿ of anemia risk. Therefore we evaluated the correlation between RBV (phosphorylated and not) plasmatic and intraerythrocitary concentrations with anemia (Hb < 10 mg/dL and fall > 3 mg/dL) after a month of treatment, in HCV+ patients. To dose blood RBV, an appropriate analytic method was validated, consisting in erythrocytes lysis, RBV dephosphorylation by means of acid phosphatase, protein precipitation and dosage with reversed phase HPLC with UV detector. This way, we defined plasmatic and intraerythrocytes cut-off values that could be used in clinical practice, when confirmed. Finally, in order to determine the influence of genetic factors on the risk of developing anemia and on the outcome (answer to the treatment at 1 month [RVR] and at 3 month [EVR]), patients have been genotyped with a Taqman genotyping assay, for some polymorphisms on the following genes: SLC28A3 and SLC28A2 (respectively encoding Concentrative Nucleosidic Transporters CNT3 and CNT2), SLC29A1 (encoding Equilibrative Nucleosidic Transporters hENT1), ITPA (Inosin-triphosphatase, involved in ITP dephosphorilation) and of IL28-B (involved in antiviral answer and spontaneous viral clearance). The results of this study suggest that plasmatic and intraerythrocites RBV concentration at two weeks are both early predictive factors for anemia at one month and that hemolysis is influenced by ITPA polimorphisms. IL28B polymorphisms appear instead involved in clinical outcome determination, while some transporters polymorphisms seem to be associated with RBV pharmacokinetic differences. Among transporters, CNT2 seem to have an influence, apart from the drug plasmatic concentration, also on the risk of anemia. As a whole, the encouraging results of this study can serve as starting point for confirmatory studies, which optimize the predictive factors identified for its use in the clinical practice, in order to reach the target of the customization of anti-HCV therapy.
L'infezione da HCV colpisce oltre 130 milioni di persone in tutto il mondo ed è la seconda causa di epatocarcinoma. Inizialmente, la terapia prevedeva la sola somministrazione di INFα: successivamente si sono ottenute migliori risposte cliniche con l'associazione, all'INF, di ribavirina (RBV), un analogo nucleosidico della guanosina. Tale molecola agisce come pro-farmaco in quanto se viene monofosforilata (RMP), inibisce l'inosin monofosfato deidrogenasi e blocca così la sintesi di guanosina, mentre se viene trifosforilata (RTP), può essere integrata nel genoma virale, causando errori replicativi. La terapia con RBV, purtroppo, comporta effetti collaterali, tra cui il più frequente (circa il 33% dei pazienti) è l'anemia emolitica: essa rappresenta la prima causa di interruzione della terapia e di riduzione della dose di RBV, con ricadute negative sul successo terapeutico (outcome). Perciò è essenziale poter identificare precocemente i pazienti che corrono il rischio di sviluppare anemia, in modo tale da intervenire ed eventualmente modificare l'approccio terapeutico. In alcuni studi si è messo in evidenza come la RBV si accumuli negli eritrociti sotto forma di metaboliti fosforilati, ritenuti i responsabili dell'emolisi. L'obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di individuare dei nuovi parametri da utilizzare come ¿marcatori¿ precoci del rischio di anemizzazione. Pertanto abbiamo valutato la correlazione tra le concentrazioni plasmatiche ed intraeritrocitarie di RBV (fosforilata e non) con la diagnosi di anemia (Hb < 10 mg/dL e caduta > di 3 mg/dL) dopo un mese di trattamento, in pazienti HCV+. Per il dosaggio della RBV ematica è stato validato un metodo analitico apposito, consistente nella lisi eritrocitaria, nella defosforilazione della RBV tramite fosfatasi acida, precipitazione proteica e dosaggio con HPLC a fase inversa con rivelatore UV. Si è arrivati in tal modo a definire dei valori di cut-off, plasmatici ed intraeritrocitari, che potrebbero, qualora confermati , essere utilizzati nella pratica clinica. Infine, per determinare l'influenza di fattori genetici sul rischio di sviluppare anemia e sull'outcome (risposta a 1 mese[RVR] e a 3 mesi [EVR]), i pazienti sono stati genotipizzati (Taqman genotyping assay) per alcuni polimorfismi sui seguenti geni: SLC28A3 ed SLC28A2 (codificanti, rispettivamente, i trasportatori nucleosidici concentrativi CNT3 e CNT2), SLC29A1(che codifica per il trasportatore nucleosidico equilibrativo hENT1), ITPA (Inosin-trifosfatasi, coinvolto nella de fosforilazione dell'ITP) e dell'IL28-B (coinvolto nella risposta antivirale e nella clearance spontanea del virus). I risultati di questo studio suggeriscono che le concentrazioni di RBV plasmatica ed eritrocitaria a due settimane siano entrambe fattori predittivi precoci per l'anemia ad un mese e che l'emolisi sia influenzata dai polimorfismi dell'ITPA. I polimorfismi dell'IL28B risultano, invece, implicati nella determinazione dell'outcome clinico, mentre alcuni polimorfismi dei trasportatori sembrano associati a differenze farmacocinetiche della RBV. Tra i trasportatori, CNT2 sembra avere un'influenza, oltre che sulle concentrazioni plasmatiche del farmaco, anche sull'anemizzazione. Nell'insieme, i risultati di questo studio fungono da punto di partenza per nuovi studi che ottimizzino i fattori identificati per l'uso nella pratica clinica.
Identificazione di nuovi parametri farmacocinetici per la valutazione precoce del rischio di anemizzazione in pazienti sottoposti a terapia anti-HCV standard
DE NICOLO', AMEDEO
2010/2011
Abstract
L'infezione da HCV colpisce oltre 130 milioni di persone in tutto il mondo ed è la seconda causa di epatocarcinoma. Inizialmente, la terapia prevedeva la sola somministrazione di INFα: successivamente si sono ottenute migliori risposte cliniche con l'associazione, all'INF, di ribavirina (RBV), un analogo nucleosidico della guanosina. Tale molecola agisce come pro-farmaco in quanto se viene monofosforilata (RMP), inibisce l'inosin monofosfato deidrogenasi e blocca così la sintesi di guanosina, mentre se viene trifosforilata (RTP), può essere integrata nel genoma virale, causando errori replicativi. La terapia con RBV, purtroppo, comporta effetti collaterali, tra cui il più frequente (circa il 33% dei pazienti) è l'anemia emolitica: essa rappresenta la prima causa di interruzione della terapia e di riduzione della dose di RBV, con ricadute negative sul successo terapeutico (outcome). Perciò è essenziale poter identificare precocemente i pazienti che corrono il rischio di sviluppare anemia, in modo tale da intervenire ed eventualmente modificare l'approccio terapeutico. In alcuni studi si è messo in evidenza come la RBV si accumuli negli eritrociti sotto forma di metaboliti fosforilati, ritenuti i responsabili dell'emolisi. L'obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di individuare dei nuovi parametri da utilizzare come ¿marcatori¿ precoci del rischio di anemizzazione. Pertanto abbiamo valutato la correlazione tra le concentrazioni plasmatiche ed intraeritrocitarie di RBV (fosforilata e non) con la diagnosi di anemia (Hb < 10 mg/dL e caduta > di 3 mg/dL) dopo un mese di trattamento, in pazienti HCV+. Per il dosaggio della RBV ematica è stato validato un metodo analitico apposito, consistente nella lisi eritrocitaria, nella defosforilazione della RBV tramite fosfatasi acida, precipitazione proteica e dosaggio con HPLC a fase inversa con rivelatore UV. Si è arrivati in tal modo a definire dei valori di cut-off, plasmatici ed intraeritrocitari, che potrebbero, qualora confermati , essere utilizzati nella pratica clinica. Infine, per determinare l'influenza di fattori genetici sul rischio di sviluppare anemia e sull'outcome (risposta a 1 mese[RVR] e a 3 mesi [EVR]), i pazienti sono stati genotipizzati (Taqman genotyping assay) per alcuni polimorfismi sui seguenti geni: SLC28A3 ed SLC28A2 (codificanti, rispettivamente, i trasportatori nucleosidici concentrativi CNT3 e CNT2), SLC29A1(che codifica per il trasportatore nucleosidico equilibrativo hENT1), ITPA (Inosin-trifosfatasi, coinvolto nella de fosforilazione dell'ITP) e dell'IL28-B (coinvolto nella risposta antivirale e nella clearance spontanea del virus). I risultati di questo studio suggeriscono che le concentrazioni di RBV plasmatica ed eritrocitaria a due settimane siano entrambe fattori predittivi precoci per l'anemia ad un mese e che l'emolisi sia influenzata dai polimorfismi dell'ITPA. I polimorfismi dell'IL28B risultano, invece, implicati nella determinazione dell'outcome clinico, mentre alcuni polimorfismi dei trasportatori sembrano associati a differenze farmacocinetiche della RBV. Tra i trasportatori, CNT2 sembra avere un'influenza, oltre che sulle concentrazioni plasmatiche del farmaco, anche sull'anemizzazione. Nell'insieme, i risultati di questo studio fungono da punto di partenza per nuovi studi che ottimizzino i fattori identificati per l'uso nella pratica clinica.File | Dimensione | Formato | |
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