L'Unione Europea, pur nell'attuale fase di crisi economica e politica, resta ancora il maggior soggetto economico del mondo. Comprende infatti 28 paesi, di cui 4 membri del G7, una popolazione di quasi 500 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo di circa 16 mila miliardi di dollari. Dispone inoltre di un PIL pro/capite inferiore solo a quello statunitense ed è il maggior esportatore di beni e servizi al mondo. Tutto questo è stato costruito nel corsi di appena due generazioni, quando statisti lungimiranti hanno progressivamente realizzato la più grande e spontanea cessione di sovranità mai vista nella storia degli Stati nazione. Tuttavia, se grandi progressi sono stati realizzati in campo economico e, di riflesso, sociale, quelli nel settore della politica estera e di sicurezza e difesa sono stati più contenuti. Se l'Unione europea è sempre stata poco attrezzata per affrontare scenari di crisi internazionale, questa carenza si è drammaticamente acuita in tempi recenti. I tragici eventi in Francia, Belgio e Germania, hanno brutalmente ricordato all'opinione pubblica e ai governanti europei la loro vulnerabilità e il fatto che questi attacchi terroristici siano stati portati nel cuore dell'Europa ha sottolineato l'urgenza di rafforzare la capacità collettiva dell'Unione di rispondere ad atti ostili di qualunque provenienza. Del resto l'Unione europea, ormai, è circondata da un arco di aree politicamente instabili, che si estende dai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente fino ai paesi dell'Europa dell'Est: uno scenario ben lontano da quello ¿spazio di prosperità e buon vicinato¿ auspicato dall'articolo 8 del Trattato sull'Unione europea. Allo stesso tempo i budget della difesa nazionale in costante calo dalla fine della guerra fredda rendono difficile, per gli europei, assumere responsabilità all'altezza delle loro ambizioni in campo internazionale. Questo scenario è il punto di arrivo di un processo iniziato nel secondo dopoguerra: fin dal fallimento del progetto della Comunità Europea di Difesa nel 1954, infatti, gli Stati europei hanno deciso di preservare la propria sovranità nel campo della difesa e di gestire le questioni internazionali con un approccio puramente intergovernativo. Oggi possiamo constatare che questa scelta ha prodotto una frammentazione delle strutture militari europee e del mercato della difesa che comporta sprechi e inefficienze economiche, penalizza la competitività delle industrie europee del settore e, in ultima analisi, impedisce all'Unione di esercitare un ruolo autonomo di peace and security provider nello scenario mondiale, oltre che essere garante degli interessi strategici e della sicurezza dei suoi cittadini. La costituzione di un ¿esercito europeo¿ è da molti vista come la soluzione di tutti i problemi, ma nel breve e medio periodo non può essere così per due motivi: in primo luogo perché richiederebbe lo smantellamento o la riconversione delle attuali strutture militari e industriali nazionali con i pesanti costi sociali che ne conseguirebbero, ma soprattutto perché una struttura militare comune presuppone l'esistenza di una solida e univoca politica estera e di difesa della quale dovrebbe costituire lo strumento operativo di azione e dissuasione. È proprio questo che oggi manca all'Europa.

La Politica di Sicurezza e di Difesa in Europa e i suoi Costi

ARNAUDO, FILIBERTO
2015/2016

Abstract

L'Unione Europea, pur nell'attuale fase di crisi economica e politica, resta ancora il maggior soggetto economico del mondo. Comprende infatti 28 paesi, di cui 4 membri del G7, una popolazione di quasi 500 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo di circa 16 mila miliardi di dollari. Dispone inoltre di un PIL pro/capite inferiore solo a quello statunitense ed è il maggior esportatore di beni e servizi al mondo. Tutto questo è stato costruito nel corsi di appena due generazioni, quando statisti lungimiranti hanno progressivamente realizzato la più grande e spontanea cessione di sovranità mai vista nella storia degli Stati nazione. Tuttavia, se grandi progressi sono stati realizzati in campo economico e, di riflesso, sociale, quelli nel settore della politica estera e di sicurezza e difesa sono stati più contenuti. Se l'Unione europea è sempre stata poco attrezzata per affrontare scenari di crisi internazionale, questa carenza si è drammaticamente acuita in tempi recenti. I tragici eventi in Francia, Belgio e Germania, hanno brutalmente ricordato all'opinione pubblica e ai governanti europei la loro vulnerabilità e il fatto che questi attacchi terroristici siano stati portati nel cuore dell'Europa ha sottolineato l'urgenza di rafforzare la capacità collettiva dell'Unione di rispondere ad atti ostili di qualunque provenienza. Del resto l'Unione europea, ormai, è circondata da un arco di aree politicamente instabili, che si estende dai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente fino ai paesi dell'Europa dell'Est: uno scenario ben lontano da quello ¿spazio di prosperità e buon vicinato¿ auspicato dall'articolo 8 del Trattato sull'Unione europea. Allo stesso tempo i budget della difesa nazionale in costante calo dalla fine della guerra fredda rendono difficile, per gli europei, assumere responsabilità all'altezza delle loro ambizioni in campo internazionale. Questo scenario è il punto di arrivo di un processo iniziato nel secondo dopoguerra: fin dal fallimento del progetto della Comunità Europea di Difesa nel 1954, infatti, gli Stati europei hanno deciso di preservare la propria sovranità nel campo della difesa e di gestire le questioni internazionali con un approccio puramente intergovernativo. Oggi possiamo constatare che questa scelta ha prodotto una frammentazione delle strutture militari europee e del mercato della difesa che comporta sprechi e inefficienze economiche, penalizza la competitività delle industrie europee del settore e, in ultima analisi, impedisce all'Unione di esercitare un ruolo autonomo di peace and security provider nello scenario mondiale, oltre che essere garante degli interessi strategici e della sicurezza dei suoi cittadini. La costituzione di un ¿esercito europeo¿ è da molti vista come la soluzione di tutti i problemi, ma nel breve e medio periodo non può essere così per due motivi: in primo luogo perché richiederebbe lo smantellamento o la riconversione delle attuali strutture militari e industriali nazionali con i pesanti costi sociali che ne conseguirebbero, ma soprattutto perché una struttura militare comune presuppone l'esistenza di una solida e univoca politica estera e di difesa della quale dovrebbe costituire lo strumento operativo di azione e dissuasione. È proprio questo che oggi manca all'Europa.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/114837