La poesia lirica italiana, fin dalle sue origini, ha sempre avuto la predisposizione verso uno speciale modulo dialogico. Il periodo più fertile per lo sviluppo della poesia dialogica, in tutta la sua problematicità, è stato però il Novecento, un secolo che ha trasmesso alla cultura poetica contemporanea un'impronta polifonica considerevole. Questo studio si propone di tracciare un'analisi critica della forma dialogica in alcuni autori specifici del Novecento (da Pascoli a Sereni) che ne hanno strutturato e rivoluzionato l'uso, e il cui esempio e la cui influenza, anche indiretta, ha condizionato generazioni coeve e future di poeti. La metodologia seguita è quella dell'esame di campioni di testi ritenuti significativi sulla base di alcuni criteri e direzioni di ricerca, quali ad esempio il contesto situazionale e le strutture verbali della conversazione, integrando i risultati con l'interpretazione di più ampio respiro della poetica dell'autore e del relativo periodo storico-letterario. Per quanto riguarda Pascoli, a partire da Myricae il passaggio graduale dall'emersione di voci, le quali, caratterizzate dalla ¿volontà di significare¿ e ascoltate e tradotte dall'orecchio ¿fanciullino¿, entrano in poesia nel loro grado zero, il ritmo primigenio della lingua, e si evolvono completando la loro metamorfosi nei Canti di Castelvecchio, attraverso atti comunicativi veri e propri, all'interno di un'enunciazione dialogica in cui la parola altrui (una parola ascoltata) viene a riempire il vuoto e il silenzio endemico del pensiero logico e razionale dell'uomo. Nei poeti crepuscolari, Gozzano in particolare, la forma dialogica è il correlativo esteriore di una condizione critica dell'Io il quale si riconosce nullatenente e in continua carenza espressiva e si ritrova costretto a fare i conti con il linguaggio a partire dalla sua inefficacia quotidiana. Con i crepuscolari la forma dialogica entra a far parte del circuito della lingua poetica, seppur nei termini della citazione, in tutta la sua ambiguità: da un lato lo scambio e il passaggio di parola nei numerosi ed evanescenti colloqui determina l'impossibilità di ogni pretesa di mantenimento dell'autorità discorsiva dell'Io; dall'altra il dialogo suggerisce una possibile esistenza poetica alternativa, in cui quello che era considerato ¿non poetico¿ (dal lessico alla sintassi) acquisisce dignità poiché direttamente evocato dalla lingua quotidiana, per sua natura comunicativa a partire dagli elementi del reale. Sarà poi negli anni Sessanta del XX secolo, con la poesia di Luzi e Sereni che il linguaggio dell'oralità si fonde con la vocalità interna del testo poetico, con la sua esperienza, penetrando nelle sue fibre e dando vita ad uno sdoppiamento e un'alternanza costante del pensiero e della parola. La funzione conoscitiva del dialogo predispone il poeta ad una continua interrogazione sul significato dell'esistenza nel mondo, in un botta e riposta con figure sorte dalla crisi dell'Io che hanno ormai acquisito il pieno status di alterità. Più in generale, Luzi e Sereni manifestano la necessità di riflessione e di approfondimento del rapporto tra parola propria e parola altrui, tra percezione e realtà, tra nome e cosa, per un conto aperto con se stessi e con il mondo da affrontare nell'abisso della solitudine che mette l'individuo davanti al volto nudo dell'Altro.
Colloqui. Un percorso sulla poesia dialogica nel Novecento
MELONI, MATTEO
2014/2015
Abstract
La poesia lirica italiana, fin dalle sue origini, ha sempre avuto la predisposizione verso uno speciale modulo dialogico. Il periodo più fertile per lo sviluppo della poesia dialogica, in tutta la sua problematicità, è stato però il Novecento, un secolo che ha trasmesso alla cultura poetica contemporanea un'impronta polifonica considerevole. Questo studio si propone di tracciare un'analisi critica della forma dialogica in alcuni autori specifici del Novecento (da Pascoli a Sereni) che ne hanno strutturato e rivoluzionato l'uso, e il cui esempio e la cui influenza, anche indiretta, ha condizionato generazioni coeve e future di poeti. La metodologia seguita è quella dell'esame di campioni di testi ritenuti significativi sulla base di alcuni criteri e direzioni di ricerca, quali ad esempio il contesto situazionale e le strutture verbali della conversazione, integrando i risultati con l'interpretazione di più ampio respiro della poetica dell'autore e del relativo periodo storico-letterario. Per quanto riguarda Pascoli, a partire da Myricae il passaggio graduale dall'emersione di voci, le quali, caratterizzate dalla ¿volontà di significare¿ e ascoltate e tradotte dall'orecchio ¿fanciullino¿, entrano in poesia nel loro grado zero, il ritmo primigenio della lingua, e si evolvono completando la loro metamorfosi nei Canti di Castelvecchio, attraverso atti comunicativi veri e propri, all'interno di un'enunciazione dialogica in cui la parola altrui (una parola ascoltata) viene a riempire il vuoto e il silenzio endemico del pensiero logico e razionale dell'uomo. Nei poeti crepuscolari, Gozzano in particolare, la forma dialogica è il correlativo esteriore di una condizione critica dell'Io il quale si riconosce nullatenente e in continua carenza espressiva e si ritrova costretto a fare i conti con il linguaggio a partire dalla sua inefficacia quotidiana. Con i crepuscolari la forma dialogica entra a far parte del circuito della lingua poetica, seppur nei termini della citazione, in tutta la sua ambiguità: da un lato lo scambio e il passaggio di parola nei numerosi ed evanescenti colloqui determina l'impossibilità di ogni pretesa di mantenimento dell'autorità discorsiva dell'Io; dall'altra il dialogo suggerisce una possibile esistenza poetica alternativa, in cui quello che era considerato ¿non poetico¿ (dal lessico alla sintassi) acquisisce dignità poiché direttamente evocato dalla lingua quotidiana, per sua natura comunicativa a partire dagli elementi del reale. Sarà poi negli anni Sessanta del XX secolo, con la poesia di Luzi e Sereni che il linguaggio dell'oralità si fonde con la vocalità interna del testo poetico, con la sua esperienza, penetrando nelle sue fibre e dando vita ad uno sdoppiamento e un'alternanza costante del pensiero e della parola. La funzione conoscitiva del dialogo predispone il poeta ad una continua interrogazione sul significato dell'esistenza nel mondo, in un botta e riposta con figure sorte dalla crisi dell'Io che hanno ormai acquisito il pieno status di alterità. Più in generale, Luzi e Sereni manifestano la necessità di riflessione e di approfondimento del rapporto tra parola propria e parola altrui, tra percezione e realtà, tra nome e cosa, per un conto aperto con se stessi e con il mondo da affrontare nell'abisso della solitudine che mette l'individuo davanti al volto nudo dell'Altro.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/114713