H.J. Huck (1965,1968) fu il primo a definire il biodeterioramento ¿ un indesiderato cambiamento nelle caratteristiche di un materiale, causato dalle attività biologiche di un organismo¿. Le alterazioni indotte da tali attività possono variare in larga misura, da trasformazioni irreversibili alla disgregazione del substrato, per la semplice, e sgradita, presenza di organismi senza particolari conseguenze per i materiali coinvolti (disturbo estetico). Con il termine biodeteriogeno si intendono i microrganismi/organismi che causano danni ai materiali su cui si accrescono. Tuttavia l'utilizzo del termine viene spesso esteso anche a quegli organismi, osservati su manufatti o oggetti, ma di cui non è nota l'azione deteriogena sul substrato. L'azione esercitata dai microrganismi/organismi sui materiali organici ed inorganici, costituenti i beni culturali, viene indicata come biodeterioramento sottintendendone una connotazione negativa e dunque dannosa per le opere. Il termine è preferito a biodegradazione, con cui sono intesi solitamente i processi biologici grazie ai quali vengono scomposte le macromolecole organiche complesse in costituenti via via più semplici sino allo stadio inorganico. Il fenomeno è visto positivamente perché spesso coinvolge composti tossici (es. inquinanti) in altri meno tossici se non addirittura innocui. Da notare, tuttavia, come i colonizzatori non siano necessariamente sempre e solo deteriogeni (Pinna & Salvadori, 2005a), ma come, in alcuni casi, l'azione da loro svolta possa rivestire un ruolo protettivo per il substrato (bioprotezione) (Caneva et al., 2005 ). I beni culturali in pietra collocati in ambiente aperto ospitano comunità litobiontiche diversificate, che possono includere specie rare, patrimonio quindi di pregio naturalistico e culturale (Nimis et al., 1992), ma anche macro- e microrganismi responsabili di biodeterioramento (Piervittori et al., 2009). Qualora venga dimostrato sperimentalmente che l'azione delle comunità litobiontiche rappresenti una minaccia alla conservazione delle opere d'arte, risultano necessari interventi di controllo mirati a salvaguardare il patrimonio culturale e paesaggistico mediante l'impiego di metodi meccanici (es. spazzole), fisici (es. radiazioni ionizzanti) o biologici (es. enzimi). Tuttavia tradizionalmente nella maggior parte dei casi tali interventi comportano il trattamento delle superfici colonizzate o delle intere aree monumentali con sostanze chimiche ad azione biocida, la cui adozione dagli addetti ai lavori è sovente effettuata senza una conoscenza specifica delle proprietà chimiche dei prodotti e delle loro ricadute sulle opere e, soprattutto, sull'ambiente circostante (Caneva et al. 1996).

I metaboliti secondari dei licheni come strumenti di controllo biologico in campo ambientale

FASANO, SERENA
2010/2011

Abstract

H.J. Huck (1965,1968) fu il primo a definire il biodeterioramento ¿ un indesiderato cambiamento nelle caratteristiche di un materiale, causato dalle attività biologiche di un organismo¿. Le alterazioni indotte da tali attività possono variare in larga misura, da trasformazioni irreversibili alla disgregazione del substrato, per la semplice, e sgradita, presenza di organismi senza particolari conseguenze per i materiali coinvolti (disturbo estetico). Con il termine biodeteriogeno si intendono i microrganismi/organismi che causano danni ai materiali su cui si accrescono. Tuttavia l'utilizzo del termine viene spesso esteso anche a quegli organismi, osservati su manufatti o oggetti, ma di cui non è nota l'azione deteriogena sul substrato. L'azione esercitata dai microrganismi/organismi sui materiali organici ed inorganici, costituenti i beni culturali, viene indicata come biodeterioramento sottintendendone una connotazione negativa e dunque dannosa per le opere. Il termine è preferito a biodegradazione, con cui sono intesi solitamente i processi biologici grazie ai quali vengono scomposte le macromolecole organiche complesse in costituenti via via più semplici sino allo stadio inorganico. Il fenomeno è visto positivamente perché spesso coinvolge composti tossici (es. inquinanti) in altri meno tossici se non addirittura innocui. Da notare, tuttavia, come i colonizzatori non siano necessariamente sempre e solo deteriogeni (Pinna & Salvadori, 2005a), ma come, in alcuni casi, l'azione da loro svolta possa rivestire un ruolo protettivo per il substrato (bioprotezione) (Caneva et al., 2005 ). I beni culturali in pietra collocati in ambiente aperto ospitano comunità litobiontiche diversificate, che possono includere specie rare, patrimonio quindi di pregio naturalistico e culturale (Nimis et al., 1992), ma anche macro- e microrganismi responsabili di biodeterioramento (Piervittori et al., 2009). Qualora venga dimostrato sperimentalmente che l'azione delle comunità litobiontiche rappresenti una minaccia alla conservazione delle opere d'arte, risultano necessari interventi di controllo mirati a salvaguardare il patrimonio culturale e paesaggistico mediante l'impiego di metodi meccanici (es. spazzole), fisici (es. radiazioni ionizzanti) o biologici (es. enzimi). Tuttavia tradizionalmente nella maggior parte dei casi tali interventi comportano il trattamento delle superfici colonizzate o delle intere aree monumentali con sostanze chimiche ad azione biocida, la cui adozione dagli addetti ai lavori è sovente effettuata senza una conoscenza specifica delle proprietà chimiche dei prodotti e delle loro ricadute sulle opere e, soprattutto, sull'ambiente circostante (Caneva et al. 1996).
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