Each of us is marked by a profound lack, and there is no object or word that can fill it; only silence and the creative-generative expression of desire can embrace its impossibility. These are capable of enlivening existence, whose openness (as the etymology suggests) opposes the drive towards closure that the ordinary seems to impose on it. This is the task that artistic expression, empowered by the dimension of the elsewhere to which it refers, fulfills: in the face of the radical insufficiency to which the human condition is exposed, it reflects the desire for what is lacking. Jean-Marie Gustave Le Clézio’s ‘L’Extase matérielle’ shouts this forcefully. The author surrenders to what burns within him, where waiting, listening, and silence promise hope, promise the future. This is the gift, the legacy, that the Nobel Prize in Literature 2018 bequeaths to himself and his reader: in the secret desire to complete himself, he traces the mark of his own lack, offering what he does not possess, what he has not known, what he does not yet know and perhaps never will. It is thus in the (im)possibility of the verb that the writer reveals his own existence: between ecstasy and matter. It is thus between the horizon of absolute transcendence and that of immanence without any residue that man encounters his deepest interiority and, at the same time, the most radical estrangement. A decisive reference is the Lacanian teaching that identifies a relationship of total heterogeneity between the register of the real (in which Heideggerian being is re-read) and that of reality (in which Dasein is re-read), where the latter - habitual order, “defensive” mask and evolutionarily necessary for human survival - arises in defense of the unavoidable, formless, and senseless roughness of the former. But is it not precisely in this process of inscription of the unassimilable, the non-integrable, that the sublime literary miracle takes shape? Focusing on the formal masquerade - which passes from essayistic writing to autobiographical writing and from novelistic to poetic writing - we reflect on how the work succeeds in its attempt to give a voice to the silence of the unspeakable and which, translated into a literary key, becomes a fundamental, subversive, and disturbing metaphor of an experience - that of the author, but of all men - engaged in the human search for meaning. In being a missing system in its very structure, human language is both illusion and authenticity of the writer’s lived experience: the impossible coincidence between being and its own saying. Technically, this translates into a narrative of the self capable of pushing itself to its unspoken, to what the text hides. The need to know the «heartbreaking beauty of disarmament» and to return to the word the universal and deeply human value it carries: listening, is inescapable. So, what remains to be asked of theory? The paths are innumerable; yet, faced with the boundless horizon to which every literary work refers, it cannot offer a definitive and harmonious solution. Achieving a balance between the different disciplinary fields engaged in the study of the word is not an easily attainable goal. Perhaps no theory will ever exhaust the complexity of the work of art; rather, like a promise pregnant with the future that pierces the “now”, it can open to the horizon of the elsewhere.
Ciascuno di noi è segnato da una profonda mancanza, e non esiste oggetto o parola che possa colmarla; ad accoglierne l’impossibilità non vi sono che il silenzio e l’espressione creativo-generativa del desiderio. Essi sono capaci di rendere viva l’esistenza la cui apertura (come l’etimologia suggerisce) si oppone alla pulsione della chiusura che l’ordinario sembra imporgli. È questo il compito a cui l’espressione artistica, forte della dimensione dell’altrove a cui essa stessa rimanda, assolve: difronte all’insufficienza radicale a cui la condizione umana è esposta, essa ne riflette il desiderio di ciò manca. "L’Extase matérielle" di Jean-Marie Gustave Le Clézio lo urla con forza. L’autore si concede a ciò che in lui arde, dove l’attesa, l’ascolto e il silenzio promettono speranza, promettono l’avvenire. È questo il dono, l’eredità, che il premio Nobel per la letteratura 2018 consegna a sé stesso e al proprio lettore: nel segreto desiderio di completarsi, egli traccia il segno della propria mancanza, offre ciò che non possiede, ciò che non ha conosciuto, che non conosce ancora e forse mai conoscerà. È dunque nell’(im)possibilità del verbo che lo scrittore rivela la propria esistenza: tra l’estasi e la materia. È perciò tra l’orizzonte della trascendenza assoluta e quello dell’immanenza senza residuo alcuno che l’uomo incontra la sua più profonda interiorità e, al contempo, l’estraneità più radicale. Riferimento decisivo è l’insegnamento lacaniano che identifica una relazione di totale eterogeneità tra il registro del reale (nel quale si rilegge l’essere heideggeriano) e quello della realtà (nel quale si rilegge l’esserci), dove quest’ultimo - ordine abitudinario, maschera “difensiva” ed evoluzionisticamente necessaria per la sopravvivenza umana - sorge in difesa della scabrosità inaggirabile, informe e insensata del primo. Ma non è proprio in questo processo di iscrizione dell’inassimilabile, del non-integrabile, che prende forma il sublime miracolo letterario? Soffermandosi sul formale mascheramento - che dalla scrittura saggistica passa a quella autobiografica e da quella romanzesca a quella poetica -, si riflette su come l’opera riesca nel suo tentativo di donare una voce al silenzio dell’inenarrabile e che, tradotto in chiave letteraria, diviene fondamentale, sovversiva e perturbante metafora di un vissuto - quello dell’autore, ma degli uomini tutti - impegnato nell’umana ricerca del senso. Nel suo essere un sistema mancante nella sua stessa struttura, il linguaggio umano è illusione e al contempo autenticità del vissuto dello scrittore: l’impossibile coincidenza tra l’essere e il proprio dire. Tecnicamente, ciò si traduce in una narrazione del sé in grado di spingersi sino al suo non detto, sino a ciò che il testo nasconde. Improrogabile è il bisogno di conoscere la struggente bellezza del disarmo e di riconsegnare alla parola l’universale e umanissimo valore di cui essa è portatrice: l’ascolto. Allora, cosa resta da chiedere alla teoria? Innumerevoli sono le strade percorribili; eppure, difronte allo sconfinato orizzonte a cui ogni opera letteraria rimanda, essa non può offrire una definitiva e armonica soluzione. Raggiungere un equilibrio tra i diversi campi disciplinari impegnati nello studio della parola non è traguardo facilmente raggiungibile. Forse, nessuna teoria potrà mai esaurire la complessità dell’opera d’arte, piuttosto, come una promessa gravida di futuro che perfora “l’adesso”, potrà aprire all’orizzonte dell’altrove.
Tra l'estasi e la materia: l'(im)possibilità del verbo di Jean-Marie Gustave Le Clézio
RANCA, SOFIA
2023/2024
Abstract
Ciascuno di noi è segnato da una profonda mancanza, e non esiste oggetto o parola che possa colmarla; ad accoglierne l’impossibilità non vi sono che il silenzio e l’espressione creativo-generativa del desiderio. Essi sono capaci di rendere viva l’esistenza la cui apertura (come l’etimologia suggerisce) si oppone alla pulsione della chiusura che l’ordinario sembra imporgli. È questo il compito a cui l’espressione artistica, forte della dimensione dell’altrove a cui essa stessa rimanda, assolve: difronte all’insufficienza radicale a cui la condizione umana è esposta, essa ne riflette il desiderio di ciò manca. "L’Extase matérielle" di Jean-Marie Gustave Le Clézio lo urla con forza. L’autore si concede a ciò che in lui arde, dove l’attesa, l’ascolto e il silenzio promettono speranza, promettono l’avvenire. È questo il dono, l’eredità, che il premio Nobel per la letteratura 2018 consegna a sé stesso e al proprio lettore: nel segreto desiderio di completarsi, egli traccia il segno della propria mancanza, offre ciò che non possiede, ciò che non ha conosciuto, che non conosce ancora e forse mai conoscerà. È dunque nell’(im)possibilità del verbo che lo scrittore rivela la propria esistenza: tra l’estasi e la materia. È perciò tra l’orizzonte della trascendenza assoluta e quello dell’immanenza senza residuo alcuno che l’uomo incontra la sua più profonda interiorità e, al contempo, l’estraneità più radicale. Riferimento decisivo è l’insegnamento lacaniano che identifica una relazione di totale eterogeneità tra il registro del reale (nel quale si rilegge l’essere heideggeriano) e quello della realtà (nel quale si rilegge l’esserci), dove quest’ultimo - ordine abitudinario, maschera “difensiva” ed evoluzionisticamente necessaria per la sopravvivenza umana - sorge in difesa della scabrosità inaggirabile, informe e insensata del primo. Ma non è proprio in questo processo di iscrizione dell’inassimilabile, del non-integrabile, che prende forma il sublime miracolo letterario? Soffermandosi sul formale mascheramento - che dalla scrittura saggistica passa a quella autobiografica e da quella romanzesca a quella poetica -, si riflette su come l’opera riesca nel suo tentativo di donare una voce al silenzio dell’inenarrabile e che, tradotto in chiave letteraria, diviene fondamentale, sovversiva e perturbante metafora di un vissuto - quello dell’autore, ma degli uomini tutti - impegnato nell’umana ricerca del senso. Nel suo essere un sistema mancante nella sua stessa struttura, il linguaggio umano è illusione e al contempo autenticità del vissuto dello scrittore: l’impossibile coincidenza tra l’essere e il proprio dire. Tecnicamente, ciò si traduce in una narrazione del sé in grado di spingersi sino al suo non detto, sino a ciò che il testo nasconde. Improrogabile è il bisogno di conoscere la struggente bellezza del disarmo e di riconsegnare alla parola l’universale e umanissimo valore di cui essa è portatrice: l’ascolto. Allora, cosa resta da chiedere alla teoria? Innumerevoli sono le strade percorribili; eppure, difronte allo sconfinato orizzonte a cui ogni opera letteraria rimanda, essa non può offrire una definitiva e armonica soluzione. Raggiungere un equilibrio tra i diversi campi disciplinari impegnati nello studio della parola non è traguardo facilmente raggiungibile. Forse, nessuna teoria potrà mai esaurire la complessità dell’opera d’arte, piuttosto, come una promessa gravida di futuro che perfora “l’adesso”, potrà aprire all’orizzonte dell’altrove.File | Dimensione | Formato | |
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