La tesi del presente lavoro è quella di mostrare come il dialogo tra la teoria bioniana, i suoi sviluppi relativi alla Teoria del Campo Analitico post-bioniano (TCA) e quella lacaniana, possa portare a una riflessione sulla tematica di ciò che eccede la rappresentazione in relazione al tema della verità. A partire da questa considerazione, viene mostrato come l’intreccio di queste prospettive possa essere sviluppato attraverso le sue ricadute nella pratica clinica relativamente alla problematica del controtransfert, che qui può venire meglio inteso come una questione di campo. L’argomentazione, dunque, percorre un tragitto che designa prima la natura della rappresentazione e del suo al di là, continua con considerazioni di ordine epistemologico e si conclude con il ruolo che l’analista assume nella pratica clinica. L’assenza di una verità implica un’impossibilità, quella del padroneggiamento di tutto ciò che accade nella situazione analitica. Su questo, si rende necessaria una riflessione sul controtransfert che per ragioni epistemologiche può venire interpretato più accuratamente da una teoria che teorizzi un campo in cui l’analista è immerso e da cui dipende la sua comprensione. Il tentativo, quindi, di rendere una posizione ultima definitiva non è l’obiettivo di questo lavoro. Piuttosto, si è tentato di indicare quanto il fallimento dell’esistenza di un sistema perfettamente compiuto sia una realizzazione produttiva in grado di aprire le porte a una psicoanalisi fatta di concetti aperti a sempre ulteriori significazioni. Chiariamo che questa posizione non mette in stallo la psicoanalisi ma la rende ancora più feconda di nuove concettualizzazioni e capace di vivificare i propri strumenti. Questa posizione permette di considerare compiutamente ciò che potremmo definire una psicoanalisi dell’inoggettivabilità. La questione etica si intreccia a questo livello. L’analista non può considerare che la chiamata etica sia l’origine, come se ritrovasse in una regola di condotta il punto fondamentale di ciò che fa. La cura per il paziente, per la sua differenza assoluta non può essere considerata come un dato immediato della coscienza, una posizione in cui è possibile stare a prescindere dai propri vissuti. In questo lavoro, si è argomentato che il passaggio dal controtransfert al coglimento del vissuto del paziente non è immediato. Esso dipende dal fatto che l’analista non può appoggiarsi su una teoria come garanzia della sua pratica. Se è presente la soggettività, infatti, la teoria non può attribuire un senso ultimativo a tutto se non misconoscendola. L’analista deve potersi muovere sui diversi piani nel transito tra ciò si pone come proprio e come altro. All’interno di un’elaborazione sulla tematica del campo, l’indifferenziazione e la differenziazione possono essere riarticolate senza ricorrere alla repressione o all’agito ma all’elaborazione sognante di ciò che accade. Essa ci appare, piuttosto, in rapporto al fatto che il limite della verità porta a incentrare la pratica analitica intorno alla creazione sublimatoria di forme e di ricerca di percorsi alternativi. L’analista è in rapporto a questo limite dal punto di vista della sua teoria che, attraverso la propria mancanza, consente lo sviluppo di vie inedite. Il sogno e l’atto sono, infine, due modi che vengono analizzati per intendere come per l’analista sia possibile accedere alla produttività di questo lavoro sul limite della verità rispetto al sapere.
La psicoanalisi contemporanea. Al di là della verità e della rappresentazione
ROVERSELLI, ALBERTO
2023/2024
Abstract
La tesi del presente lavoro è quella di mostrare come il dialogo tra la teoria bioniana, i suoi sviluppi relativi alla Teoria del Campo Analitico post-bioniano (TCA) e quella lacaniana, possa portare a una riflessione sulla tematica di ciò che eccede la rappresentazione in relazione al tema della verità. A partire da questa considerazione, viene mostrato come l’intreccio di queste prospettive possa essere sviluppato attraverso le sue ricadute nella pratica clinica relativamente alla problematica del controtransfert, che qui può venire meglio inteso come una questione di campo. L’argomentazione, dunque, percorre un tragitto che designa prima la natura della rappresentazione e del suo al di là, continua con considerazioni di ordine epistemologico e si conclude con il ruolo che l’analista assume nella pratica clinica. L’assenza di una verità implica un’impossibilità, quella del padroneggiamento di tutto ciò che accade nella situazione analitica. Su questo, si rende necessaria una riflessione sul controtransfert che per ragioni epistemologiche può venire interpretato più accuratamente da una teoria che teorizzi un campo in cui l’analista è immerso e da cui dipende la sua comprensione. Il tentativo, quindi, di rendere una posizione ultima definitiva non è l’obiettivo di questo lavoro. Piuttosto, si è tentato di indicare quanto il fallimento dell’esistenza di un sistema perfettamente compiuto sia una realizzazione produttiva in grado di aprire le porte a una psicoanalisi fatta di concetti aperti a sempre ulteriori significazioni. Chiariamo che questa posizione non mette in stallo la psicoanalisi ma la rende ancora più feconda di nuove concettualizzazioni e capace di vivificare i propri strumenti. Questa posizione permette di considerare compiutamente ciò che potremmo definire una psicoanalisi dell’inoggettivabilità. La questione etica si intreccia a questo livello. L’analista non può considerare che la chiamata etica sia l’origine, come se ritrovasse in una regola di condotta il punto fondamentale di ciò che fa. La cura per il paziente, per la sua differenza assoluta non può essere considerata come un dato immediato della coscienza, una posizione in cui è possibile stare a prescindere dai propri vissuti. In questo lavoro, si è argomentato che il passaggio dal controtransfert al coglimento del vissuto del paziente non è immediato. Esso dipende dal fatto che l’analista non può appoggiarsi su una teoria come garanzia della sua pratica. Se è presente la soggettività, infatti, la teoria non può attribuire un senso ultimativo a tutto se non misconoscendola. L’analista deve potersi muovere sui diversi piani nel transito tra ciò si pone come proprio e come altro. All’interno di un’elaborazione sulla tematica del campo, l’indifferenziazione e la differenziazione possono essere riarticolate senza ricorrere alla repressione o all’agito ma all’elaborazione sognante di ciò che accade. Essa ci appare, piuttosto, in rapporto al fatto che il limite della verità porta a incentrare la pratica analitica intorno alla creazione sublimatoria di forme e di ricerca di percorsi alternativi. L’analista è in rapporto a questo limite dal punto di vista della sua teoria che, attraverso la propria mancanza, consente lo sviluppo di vie inedite. Il sogno e l’atto sono, infine, due modi che vengono analizzati per intendere come per l’analista sia possibile accedere alla produttività di questo lavoro sul limite della verità rispetto al sapere.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/113069