In recent years, the use of administrative detention, the imprisonment applied to foreigners following an administrative offence or for having entered or stayed in a national territory without the necessary papers has become widespread in all European member states. In Centers specifically established for their containment, in Italy currently designated with the acronym CPR (Centres of Permanence for Repatriation), migrants who received an expulsion decree are locked up, subjected to deprivation of personal freedom even if in the absence of a crime. Freedom is the first of a series of fundamental rights guaranteed by the Constitution but disregarded by the administrative detention regime. Behind the walls of the CPR, which appears as a current form of camp, the foreigner who has dared to cross the borders of “Fortress Europe” is left in a limbo of uncertainty and immobility, without knowing the duration of detention, which has expanded in recent years, nor the effectiveness of the measure of expulsion, only completed in about half of the cases. This dissertation starts from the language chosen to designate the repatriation centres. It reflects their distortions, highlighting the mixture of humanitarian and welcoming logics with punitive and military ones that take place in administrative detention and reaches its peak by naming “guest” the detainee: in the lexicon introduced by the new migration policies, the migrant's hospitality lies in imprisonment, in cages of which the State holds the keys. Through the abundant use of acronyms and euphemisms, language conceals reality. It redefines it, even recreating it, with mechanisms not dissimilar to those brought out by the philologist Victor Klemperer in his studies on the language of Nazism. The detention conditions emerge from the fragmentary testimonies of its various actors, detainees, lawyers, civil operators, and medical personnel, and with them the rights that are disregarded or put at risk: freedom, information, legal protection, linguistic understanding, health. CPRs represent hotbeds of suffering, both physical and psychological. In these Centres, treatment gives way to suspicion and pain marks the time of detention, which leads it to the uttermost despite the attempt to tame it through the use and uncontrolled abuse of psychotropic drugs. In these conditions, self-harm becomes a recurring practice: through the body, the detainee offers his strenuous resistance to impositions that he considers unjust, in an extreme act of political resistance. The final ethnographic case is paradigmatic of the contradictions and paradoxes that arise with administrative detention. Through its tangled legal events and the burden of physical and mental suffering experienced during detention, it summarizes the disregarded rights and violations that occur in the CPRs, which currently represent an important instrument of migration policies, despite the data attesting to their ineffectiveness in consideration of both the results and the enormous human and material costs they entail.
Negli ultimi anni è andato diffondendosi in tutti gli stati membri d’Europa il ricorso alla detenzione amministrativa, un regime di reclusione applicato agli stranieri in seguito al compimento di un illecito amministrativo, ovvero per aver fatto ingresso o soggiornato in un territorio nazionale privi della necessaria documentazione. Nei Centri appositamente istituiti per il loro contenimento, in Italia attualmente designati con l’acronimo CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), vengono rinchiusi i migranti destinatari di un decreto d’espulsione, sottoposti a privazione della libertà personale seppur in assenza di reato. Quello alla libertà è il primo di una serie di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ma disattesi dal regime di detenzione amministrativa. Dietro le mura dei CPR, che si manifestano come attuale forma campo, lo straniero che ha osato valicare i confini di “fortezza Europa” è lasciato in un limbo di incertezza e immobilità, senza conoscere né le tempistiche della reclusione, dilatatesi negli ultimi anni, né l’effettività del provvedimento di espulsione, portato a termine solo in circa la metà dei casi. Questo elaborato prende le mosse dal linguaggio scelto per designare la realtà dei Centri per il rimpatrio e ne riflette le distorsioni, mettendo in luce la mescolanza di logiche umanitarie e d’accoglienza con quelle punitive e militari, che si realizzano nella detenzione amministrativa e raggiungono l’apice denominando “ospite” il trattenuto: nel lessico introdotto dalle nuove politiche migratorie, l'ospitalità del migrante risiede nella reclusione in gabbie delle quali solo lo Stato detiene le chiavi. Attraverso l’abbondante ricorso ad acronimi ed eufemismi, la lingua dissimula la realtà e la ridefinisce, fino a ricrearla, con meccanismi non dissimili da quelli fatti emergere dal filologo Victor Klemperer nei suoi studi sul linguaggio del nazismo. Le condizioni nelle quali il trattenimento si realizza emergono dalle testimonianze frammentarie dei diversi attori della detenzione amministrativa, trattenuti, avvocati, operatori civili e personale medico, e con esse i diritti disattesi o messi a rischio: libertà, informazione, tutela legale, comprensione linguistica, salute. I CPR rappresentano fucine di sofferenza, sia fisica che psichica: nei Centri la cura cede il passo al sospetto e il dolore scandisce il tempo della detenzione, che lo porta allo spasmo, nonostante il tentativo di domarlo attraverso l’uso e l'abuso incontrollato di psicofarmaci. L'autolesionismo diventa una pratica ricorrente: attraverso il corpo, il trattenuto oppone strenua resistenza a imposizioni che considera ingiuste, in un estremo atto di resistenza politica. Delle contraddizioni e dei paradossi che si realizzano con la detenzione amministrativa, il caso etnografico conclusivo si presenta paradigmatico. Attraverso le sue ingarbugliate vicende giuridiche e il carico di sofferenza fisica e psichica vissuta durante il trattenimento, offre un compendio dei diritti disattesi e delle violazioni che avvengono nei CPR, i quali tuttavia rappresentano attualmente un importante strumento delle politiche migratorie, nonostante i dati ne attestino l'inefficacia in considerazione sia dei risultati, sia degli ingenti costi umani e materiali che comportano.
"Colpevoli di viaggio": la detenzione amministrativa dello straniero, privazione di libertà in assenza di reato. Antropologia dell'arbitrio istituzionale nelle politiche migratorie.
PIRA, ELISA
2023/2024
Abstract
Negli ultimi anni è andato diffondendosi in tutti gli stati membri d’Europa il ricorso alla detenzione amministrativa, un regime di reclusione applicato agli stranieri in seguito al compimento di un illecito amministrativo, ovvero per aver fatto ingresso o soggiornato in un territorio nazionale privi della necessaria documentazione. Nei Centri appositamente istituiti per il loro contenimento, in Italia attualmente designati con l’acronimo CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), vengono rinchiusi i migranti destinatari di un decreto d’espulsione, sottoposti a privazione della libertà personale seppur in assenza di reato. Quello alla libertà è il primo di una serie di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ma disattesi dal regime di detenzione amministrativa. Dietro le mura dei CPR, che si manifestano come attuale forma campo, lo straniero che ha osato valicare i confini di “fortezza Europa” è lasciato in un limbo di incertezza e immobilità, senza conoscere né le tempistiche della reclusione, dilatatesi negli ultimi anni, né l’effettività del provvedimento di espulsione, portato a termine solo in circa la metà dei casi. Questo elaborato prende le mosse dal linguaggio scelto per designare la realtà dei Centri per il rimpatrio e ne riflette le distorsioni, mettendo in luce la mescolanza di logiche umanitarie e d’accoglienza con quelle punitive e militari, che si realizzano nella detenzione amministrativa e raggiungono l’apice denominando “ospite” il trattenuto: nel lessico introdotto dalle nuove politiche migratorie, l'ospitalità del migrante risiede nella reclusione in gabbie delle quali solo lo Stato detiene le chiavi. Attraverso l’abbondante ricorso ad acronimi ed eufemismi, la lingua dissimula la realtà e la ridefinisce, fino a ricrearla, con meccanismi non dissimili da quelli fatti emergere dal filologo Victor Klemperer nei suoi studi sul linguaggio del nazismo. Le condizioni nelle quali il trattenimento si realizza emergono dalle testimonianze frammentarie dei diversi attori della detenzione amministrativa, trattenuti, avvocati, operatori civili e personale medico, e con esse i diritti disattesi o messi a rischio: libertà, informazione, tutela legale, comprensione linguistica, salute. I CPR rappresentano fucine di sofferenza, sia fisica che psichica: nei Centri la cura cede il passo al sospetto e il dolore scandisce il tempo della detenzione, che lo porta allo spasmo, nonostante il tentativo di domarlo attraverso l’uso e l'abuso incontrollato di psicofarmaci. L'autolesionismo diventa una pratica ricorrente: attraverso il corpo, il trattenuto oppone strenua resistenza a imposizioni che considera ingiuste, in un estremo atto di resistenza politica. Delle contraddizioni e dei paradossi che si realizzano con la detenzione amministrativa, il caso etnografico conclusivo si presenta paradigmatico. Attraverso le sue ingarbugliate vicende giuridiche e il carico di sofferenza fisica e psichica vissuta durante il trattenimento, offre un compendio dei diritti disattesi e delle violazioni che avvengono nei CPR, i quali tuttavia rappresentano attualmente un importante strumento delle politiche migratorie, nonostante i dati ne attestino l'inefficacia in considerazione sia dei risultati, sia degli ingenti costi umani e materiali che comportano.File | Dimensione | Formato | |
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