The Western Sahara, located in the extreme east of the Maghred, remains today the last territory on the African continent still waiting to be decolonized. Its people, the Saharawi has been living divided for forty years: in part in the territories occupied by Morocco and, the vast majority, in refugee camps set up in the 70s near Tindouf, in the Algerian desert. For too long, then, the Saharawi, have been expecting to be able to exercise their self-determination right and return to their lands, at the beginning colonized by Spain and after, since 1976, militarily occupied by Morocco. The living conditions in the Saharawi refugee camps, in the heart of the Hammada desert, are at the edge of survival, but despite this, the settings built thirty years ago as refugee camps, with any resource, are now similar to small towns, with bumpy and dusty streets, with the water in bins and the small photovoltaic panels for energy, with children who are hosted by European families when the heat becomes unbearable (9 thousand in Spain, 600 in Italy), with schools, shops, football pitches, women's associations and local democratic institutions headquarters. Despite such a negative situation, the most affecting thing is that the Saharawi people has managed to build a social organization where everyone is called to play an active role, where elders are valued, where the role of women is particularly important and, above all, where priority is given to education and health. By this way, they managed to avoid the establishment of ¿passive waiting¿ dynamics and of fatalism and corruption, so usual in any refugee camp. Saharawi, despite discrimination and harassment, have always tried to reach a peaceful solution, but the feed-back, unfortunately, has always been the same violent repression; the chance for reaching a just and democratic solution with the holding of a self-determination referendum has been systematically denied for years, not only because of the complete closure of the Moroccan government, but also the inefficiency of the UN. The Saharawi people experience has a symbolic social, civil and moral value, based on the consideration of having always a limited recourse to armed operations, mostly in the first phases of the conflict and only in their own territory, without any use of terrorist acts and with the continuous projection to peaceful solutions, trusting in diplomatic initiative and in European countries solidarity.
Il Sahara Occidentale, che occupa l'estremo est del Maghred, rimane, oggi, l'ultimo territorio del continente africano ancora in attesa di essere decolonizzato. Il suo popolo, i saharawi, vive diviso ormai da quarant'anni: in parte ancora nei territori occupati marocchini e, la grande maggioranza, nei campi profughi allestiti negli anni '70 nei pressi di Tindouf, nel deserto algerino. Da troppo tempo, dunque, i saharawi aspettano di poter esercitare il loro diritto all'autodeterminazione e di poter far ritorno nelle proprie terre, colonizzate prima dalla Spagna e, dal 1976, occupate militarmente da Marocco. Le condizioni di vita nei campi profughi saharawi, nel cuore del deserto dell'Hammada, sono al limite della sopravvivenza, ma nonostante questo, quelli che trent'anni fa nacquero come accampamenti di rifugiati, senza nulla, sono oggi delle piccole città, con strade dissestate e polverose, con l'acqua nei cassoni e l'energia ricavata da piccoli pannelli fotovoltaici, con i bambini che vengono ospitati da famiglie europee quando il caldo si fa insopportabile (9 mila in Spagna, 600 in Italia), con le scuole, i negozi, i campetti di calcio, le associazioni delle donne e le sedi delle istituzioni locali democratiche. Ciò che maggiormente colpisce è che, nonostante una situazione così critica, il popolo saharawi, sia riuscito a costruire un'organizzazione sociale dove tutti sono chiamati ad un ruolo attivo, dove sono valorizzati gli anziani, dove il ruolo delle donne è particolarmente importante e, soprattutto, dove la priorità spetta all'educazione ed alla sanità. In questo modo sono riusciti ad evitare l'instaurazione di quei meccanismi di attesa passiva, di fatalismo e corruzione, così comuni nei campi profughi. I saharawi, nonostante discriminazioni e soprusi, hanno sempre cercato la via della pace, ma la risposta, purtroppo, è sempre stata la stessa violenta repressione; la possibilità di raggiungere una soluzione giusta e democratica con lo svolgimento di un referendum sull'autodeterminazione viene da anni sistematicamente bloccata, non solo dalla totale chiusura del governo marocchino, ma anche dall'inefficienza dell'azione dell'ONU. L'esperienza del popolo saharawi ha un valore sociale, civile e morale emblematico, che si fonda sulla considerazione del sempre limitato ricorso ad operazioni armate, messe in atto, per lo più, esclusivamente nella prima fase del conflitto e solo nel loro territorio, senza mai ricorrere ad atti terroristici e nella continua ricerca di soluzioni pacifiche, affidate all'iniziativa diplomatica ed al coinvolgimento della solidarietà dei paesi europei.
I Saharawi. Un popolo senza terra
STACCOTTI, MARTINA
2010/2011
Abstract
Il Sahara Occidentale, che occupa l'estremo est del Maghred, rimane, oggi, l'ultimo territorio del continente africano ancora in attesa di essere decolonizzato. Il suo popolo, i saharawi, vive diviso ormai da quarant'anni: in parte ancora nei territori occupati marocchini e, la grande maggioranza, nei campi profughi allestiti negli anni '70 nei pressi di Tindouf, nel deserto algerino. Da troppo tempo, dunque, i saharawi aspettano di poter esercitare il loro diritto all'autodeterminazione e di poter far ritorno nelle proprie terre, colonizzate prima dalla Spagna e, dal 1976, occupate militarmente da Marocco. Le condizioni di vita nei campi profughi saharawi, nel cuore del deserto dell'Hammada, sono al limite della sopravvivenza, ma nonostante questo, quelli che trent'anni fa nacquero come accampamenti di rifugiati, senza nulla, sono oggi delle piccole città, con strade dissestate e polverose, con l'acqua nei cassoni e l'energia ricavata da piccoli pannelli fotovoltaici, con i bambini che vengono ospitati da famiglie europee quando il caldo si fa insopportabile (9 mila in Spagna, 600 in Italia), con le scuole, i negozi, i campetti di calcio, le associazioni delle donne e le sedi delle istituzioni locali democratiche. Ciò che maggiormente colpisce è che, nonostante una situazione così critica, il popolo saharawi, sia riuscito a costruire un'organizzazione sociale dove tutti sono chiamati ad un ruolo attivo, dove sono valorizzati gli anziani, dove il ruolo delle donne è particolarmente importante e, soprattutto, dove la priorità spetta all'educazione ed alla sanità. In questo modo sono riusciti ad evitare l'instaurazione di quei meccanismi di attesa passiva, di fatalismo e corruzione, così comuni nei campi profughi. I saharawi, nonostante discriminazioni e soprusi, hanno sempre cercato la via della pace, ma la risposta, purtroppo, è sempre stata la stessa violenta repressione; la possibilità di raggiungere una soluzione giusta e democratica con lo svolgimento di un referendum sull'autodeterminazione viene da anni sistematicamente bloccata, non solo dalla totale chiusura del governo marocchino, ma anche dall'inefficienza dell'azione dell'ONU. L'esperienza del popolo saharawi ha un valore sociale, civile e morale emblematico, che si fonda sulla considerazione del sempre limitato ricorso ad operazioni armate, messe in atto, per lo più, esclusivamente nella prima fase del conflitto e solo nel loro territorio, senza mai ricorrere ad atti terroristici e nella continua ricerca di soluzioni pacifiche, affidate all'iniziativa diplomatica ed al coinvolgimento della solidarietà dei paesi europei.File | Dimensione | Formato | |
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