Il termine `genocidio¿ fredda gli animi in qualunque lingua sia pronunciato, è una parola talmente contraria al comportamento civile così come elementarmente inteso che gli uomini, le istituzioni ed i governi esitano ad usarla, anche quando ce n¿è davvero bisogno. Il presente lavoro, frutto di ricerche operate su fonti diverse, quali saggi, manuali, documenti e sentenze, analizza l¿argomento, oggetto della mia ricerca, da un punto di vista non solo giuridico, ma anche storico-politico e sociologico. Dopo i crimini e le atrocità della seconda guerra mondiale, l¿umanità intera disse ¿mai più!¿. Nacque così la necessità di coniare una parola nuova per definire ciò che non poteva essere paragonato a niente. In particolare, ho voluto analizzare un caso, verificatosi nel contesto del genocidio del Ruanda, negli anni ¿90, riguardante Simon Bikindi, cantante hip-hop, accusato di inneggiare al genocidio nei testi delle sue canzoni. Sono partita, nel primo capitolo, dalle origini del conflitto tra hutu e tutsi, cercando di inquadrare quali fossero stati gli eventi precedenti al 1994, quando il conflitto giunse al culmine delle sue atrocità, portando a uno degli eventi più sanguinosi della storia del XX secolo. Tutto ciò ha, quindi, portato alla nascita del Tribunale Internazionale Penale per il Ruanda (TPIR), nato proprio per giudicare i responsabili del genocidio e delle altre gravi violazioni dei diritti umani. In particolare la mia attenzione si è soffermata, come anticipato, sulla nozione di genocidio e, poi, sul crimine di istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio, crimine, appunto, del quale è stato condannato Bikindi, e sul crimine di persecuzione. Prima di arrivare al caso in questione, ho ripercorso tutte le sentenze che la giurisprudenza ha emesso relativamente all¿incitamento, per capire il ragionamento che ha condotto il Tribunale a condannare il cantante ruandese.

Il Caso Bikindi dinanzi al Tribunale Internazionale Penale per il Ruanda

CAPELLINO, DONATELLA
2009/2010

Abstract

Il termine `genocidio¿ fredda gli animi in qualunque lingua sia pronunciato, è una parola talmente contraria al comportamento civile così come elementarmente inteso che gli uomini, le istituzioni ed i governi esitano ad usarla, anche quando ce n¿è davvero bisogno. Il presente lavoro, frutto di ricerche operate su fonti diverse, quali saggi, manuali, documenti e sentenze, analizza l¿argomento, oggetto della mia ricerca, da un punto di vista non solo giuridico, ma anche storico-politico e sociologico. Dopo i crimini e le atrocità della seconda guerra mondiale, l¿umanità intera disse ¿mai più!¿. Nacque così la necessità di coniare una parola nuova per definire ciò che non poteva essere paragonato a niente. In particolare, ho voluto analizzare un caso, verificatosi nel contesto del genocidio del Ruanda, negli anni ¿90, riguardante Simon Bikindi, cantante hip-hop, accusato di inneggiare al genocidio nei testi delle sue canzoni. Sono partita, nel primo capitolo, dalle origini del conflitto tra hutu e tutsi, cercando di inquadrare quali fossero stati gli eventi precedenti al 1994, quando il conflitto giunse al culmine delle sue atrocità, portando a uno degli eventi più sanguinosi della storia del XX secolo. Tutto ciò ha, quindi, portato alla nascita del Tribunale Internazionale Penale per il Ruanda (TPIR), nato proprio per giudicare i responsabili del genocidio e delle altre gravi violazioni dei diritti umani. In particolare la mia attenzione si è soffermata, come anticipato, sulla nozione di genocidio e, poi, sul crimine di istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio, crimine, appunto, del quale è stato condannato Bikindi, e sul crimine di persecuzione. Prima di arrivare al caso in questione, ho ripercorso tutte le sentenze che la giurisprudenza ha emesso relativamente all¿incitamento, per capire il ragionamento che ha condotto il Tribunale a condannare il cantante ruandese.
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