Accanto alla fattispecie tipica di lavoro a tempo pieno e indeterminato, l'ordinamento italiano conosce la diffusione di una vasta gamma di tipologie contrattuali flessibili, tra le quali un ruolo centrale per importanza e diffusione è occupato dal contratto di lavoro a tempo determinato. L'evoluzione della disciplina di quest'istituto in Italia è stata particolarmente tormentata, con il susseguirsi di numerose leggi e interventi modificativi o correttivi, tesi alternativamente alla limitazione dell'utilizzo del lavoro a termine e alla sua diffusione, in ossequio a opposte scelte legislative, spesso corrispondenti a cambiamenti di governo e di maggioranze parlamentari. A partire dalla prima riforma complessiva della materia, contenuta nella legge n. 230 del 1962, ho ripercorso le tappe della regolazione del lavoro a termine, con un attenzione particolare al d.lgs. n. 368/2001, agli interventi del biennio 2007-2008 e alle recenti riforme dell'istituto, quali la riforma Fornero del 2012 (legge n. 92/2012), il Pacchetto lavoro del 2013 (d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013) e il Jobs Act I del 2014 (decreto legge n. 34/2014, convertito in l. 78/2014). Nello specifico la mia analisi si è soffermata sulle previsioni - e sulle conseguenti problematiche - relative all'apposizione del termine al contratto di lavoro, caratterizzato dal passaggio dall'elenco tassativo di ipotesi, al cd. causalone fino al recente abbandono della causale; alla possibilità di prorogare il contratto a termine e di stipulare una successione di contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore e, infine, alla previsione di un principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori stabili. Accanto alla disciplina interna del lavoro a termine ho dedicato un capitolo all'analisi della normativa sovranazionale. A livello europeo, infatti, le istituzioni comunitarie, in data 28 giugno 1999, hanno recepito l'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato siglato dalla parti sociali europee il 18 marzo 1999 con l'emanazione della direttiva n. 1999/70/CE. Tale atto comunitario contiene una serie di principi e garanzie minime in materia di lavoro a tempo determinato, destinati a garantire la creazione di un quadro unitario di tutele, uniformando le differenti discipline esistenti nei singoli Stati membri. In particolare, gli obiettivi della direttiva europea sono il miglioramento delle qualità del lavoro a tempo determinato tramite la diffusione del principio di non discriminazione e la creazione di un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a termine. Inoltre, essa, tramite la previsione di un'apposita clausola di non regresso, stabilisce che gli Stati membri, nell'attuazione dell'accordo quadro, non possono ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori. Un ruolo centrale nella garanzia del rispetto di tale direttiva è stato svolto dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, la quale si è pronunciata sul rispetto delle previsioni comunitarie da parte delle normative di attuazione dei singoli paesi ed ha fornito l'interpretazione delle disposizioni della direttiva, estendendo la sua portata e garantendo l'effettività delle sue prescrizioni. Infine, nel mio studio ho dedicato un capitolo all'analisi della regolazione del lavoro a termine in Francia. Come nell'ordinamento italiano, anche la disciplina francese del contratto a tempo determinato è caratterizzata da una continua evoluzione e dal succedersi di leggi e ordonnances, il cui risultato è una legislazione conforme ai dettami europei e nel complesso simile alla regolazione italiana dell'istituto, nonostante la presenza alcune significative particolarità
Il contratto a termine: le discipline italiana e francese attuative della direttiva 1999/70/CE
JUGLAIR, SARA
2013/2014
Abstract
Accanto alla fattispecie tipica di lavoro a tempo pieno e indeterminato, l'ordinamento italiano conosce la diffusione di una vasta gamma di tipologie contrattuali flessibili, tra le quali un ruolo centrale per importanza e diffusione è occupato dal contratto di lavoro a tempo determinato. L'evoluzione della disciplina di quest'istituto in Italia è stata particolarmente tormentata, con il susseguirsi di numerose leggi e interventi modificativi o correttivi, tesi alternativamente alla limitazione dell'utilizzo del lavoro a termine e alla sua diffusione, in ossequio a opposte scelte legislative, spesso corrispondenti a cambiamenti di governo e di maggioranze parlamentari. A partire dalla prima riforma complessiva della materia, contenuta nella legge n. 230 del 1962, ho ripercorso le tappe della regolazione del lavoro a termine, con un attenzione particolare al d.lgs. n. 368/2001, agli interventi del biennio 2007-2008 e alle recenti riforme dell'istituto, quali la riforma Fornero del 2012 (legge n. 92/2012), il Pacchetto lavoro del 2013 (d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013) e il Jobs Act I del 2014 (decreto legge n. 34/2014, convertito in l. 78/2014). Nello specifico la mia analisi si è soffermata sulle previsioni - e sulle conseguenti problematiche - relative all'apposizione del termine al contratto di lavoro, caratterizzato dal passaggio dall'elenco tassativo di ipotesi, al cd. causalone fino al recente abbandono della causale; alla possibilità di prorogare il contratto a termine e di stipulare una successione di contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore e, infine, alla previsione di un principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori stabili. Accanto alla disciplina interna del lavoro a termine ho dedicato un capitolo all'analisi della normativa sovranazionale. A livello europeo, infatti, le istituzioni comunitarie, in data 28 giugno 1999, hanno recepito l'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato siglato dalla parti sociali europee il 18 marzo 1999 con l'emanazione della direttiva n. 1999/70/CE. Tale atto comunitario contiene una serie di principi e garanzie minime in materia di lavoro a tempo determinato, destinati a garantire la creazione di un quadro unitario di tutele, uniformando le differenti discipline esistenti nei singoli Stati membri. In particolare, gli obiettivi della direttiva europea sono il miglioramento delle qualità del lavoro a tempo determinato tramite la diffusione del principio di non discriminazione e la creazione di un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a termine. Inoltre, essa, tramite la previsione di un'apposita clausola di non regresso, stabilisce che gli Stati membri, nell'attuazione dell'accordo quadro, non possono ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori. Un ruolo centrale nella garanzia del rispetto di tale direttiva è stato svolto dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, la quale si è pronunciata sul rispetto delle previsioni comunitarie da parte delle normative di attuazione dei singoli paesi ed ha fornito l'interpretazione delle disposizioni della direttiva, estendendo la sua portata e garantendo l'effettività delle sue prescrizioni. Infine, nel mio studio ho dedicato un capitolo all'analisi della regolazione del lavoro a termine in Francia. Come nell'ordinamento italiano, anche la disciplina francese del contratto a tempo determinato è caratterizzata da una continua evoluzione e dal succedersi di leggi e ordonnances, il cui risultato è una legislazione conforme ai dettami europei e nel complesso simile alla regolazione italiana dell'istituto, nonostante la presenza alcune significative particolaritàFile | Dimensione | Formato | |
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