Restauri abbastanza recenti hanno portato in luce nell'antica pieve di Monesiglio (altrimenti chiamata Santuario di Santa Maria dell'Acqua Dolce o anche chiesa di San Biagio) interessanti affreschi romanici del XII secolo. L'importanza del ritrovamento non deriva soltanto dalla qualità alta dei dipinti, dall'ampiezza notevole delle pareti affrescate, dallo stato di conservazione complessivamente buono, ma anche dalla particolarità e rarità del tema trattato nel catino absidale. Si tratta, infatti, unico esempio in Piemonte in epoca romanica (almeno a mia conoscenza), della rappresentazione della traditio legis, cioè della consegna a san Pietro delle chiavi e a san Paolo del rotolo delle leggi da parte del Redentore. Un tema questo che, proprio in quel tempo, aveva una forte valenza politica e religiosa nel quadro della riforma voluta da papa Gregorio VII e nel quadro della conseguente tormentata vicenda della lotta delle investiture; un tema che voleva sancire l'indipendenza del papato dal potere imperiale e l'affermazione del potere temporale di Pietro; un tema caro al potente ordine monastico cluniacense e ai sostenitori della riforma gregoriana, un tema che è solitamente espressione di una committenza importante e direttamente impegnata nel dibattito politico e religioso. Come mai un enunciato così spinoso e rilevante è al centro di un edificio religioso che oggi appare un poco dimesso, isolato com'è nella campagna della Valle Bormida? Chi è stato il committente che ha voluto, proprio qui, affermare così risolutamente la sua idea e testimoniare con tanta enfasi il suo personale impegno nella controversia? Ho tentato di rispondere a questi interrogativi affermando, tesi talora da varie parti posta in dubbio, l'esistenza a Monesiglio di un importante priorato benedettino dipendente dall'abbazia (di fondazione aleramica) di Spigno, e ipotizzando la committenza degli affreschi da parte di un ignoto, ma potente e autorevole abate di Spigno in lotta, in quel momento vittoriosa, con poteri laici locali e con i vescovi di Savona, o Alba, o Acqui che avrebbero voluto limitarne l'autonomia. Ho concluso poi il mio studio cercando di delineare la personalità del pittore degli affreschi di Monesiglio, analizzando i possibili contatti con altri maestri operanti nell'area del Piemonte, ma non trascurando influssi più lontani nel tempo e nello spazio.

GLI AFFRESCHI DELL'ABSIDE DEL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELL'ACQUA DOLCE DI MONESIGLIO

LENTI, PAOLO
2010/2011

Abstract

Restauri abbastanza recenti hanno portato in luce nell'antica pieve di Monesiglio (altrimenti chiamata Santuario di Santa Maria dell'Acqua Dolce o anche chiesa di San Biagio) interessanti affreschi romanici del XII secolo. L'importanza del ritrovamento non deriva soltanto dalla qualità alta dei dipinti, dall'ampiezza notevole delle pareti affrescate, dallo stato di conservazione complessivamente buono, ma anche dalla particolarità e rarità del tema trattato nel catino absidale. Si tratta, infatti, unico esempio in Piemonte in epoca romanica (almeno a mia conoscenza), della rappresentazione della traditio legis, cioè della consegna a san Pietro delle chiavi e a san Paolo del rotolo delle leggi da parte del Redentore. Un tema questo che, proprio in quel tempo, aveva una forte valenza politica e religiosa nel quadro della riforma voluta da papa Gregorio VII e nel quadro della conseguente tormentata vicenda della lotta delle investiture; un tema che voleva sancire l'indipendenza del papato dal potere imperiale e l'affermazione del potere temporale di Pietro; un tema caro al potente ordine monastico cluniacense e ai sostenitori della riforma gregoriana, un tema che è solitamente espressione di una committenza importante e direttamente impegnata nel dibattito politico e religioso. Come mai un enunciato così spinoso e rilevante è al centro di un edificio religioso che oggi appare un poco dimesso, isolato com'è nella campagna della Valle Bormida? Chi è stato il committente che ha voluto, proprio qui, affermare così risolutamente la sua idea e testimoniare con tanta enfasi il suo personale impegno nella controversia? Ho tentato di rispondere a questi interrogativi affermando, tesi talora da varie parti posta in dubbio, l'esistenza a Monesiglio di un importante priorato benedettino dipendente dall'abbazia (di fondazione aleramica) di Spigno, e ipotizzando la committenza degli affreschi da parte di un ignoto, ma potente e autorevole abate di Spigno in lotta, in quel momento vittoriosa, con poteri laici locali e con i vescovi di Savona, o Alba, o Acqui che avrebbero voluto limitarne l'autonomia. Ho concluso poi il mio studio cercando di delineare la personalità del pittore degli affreschi di Monesiglio, analizzando i possibili contatti con altri maestri operanti nell'area del Piemonte, ma non trascurando influssi più lontani nel tempo e nello spazio.
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