Il presente elaborato si propone evidenziare come, nell’ambito della dottrina filosofica di Platone, vi sia un notevole interesse verso le cosiddette virtù demotiche, ovvero quelle virtù che, datesi in un certo grado non apicale, permettono di perseguire il bene anche a coloro i quali non raggiungono l’episteme, ovvero la scienza in senso forte, cardine e bussola dell’agire morale, ottenibile però solamente dai filosofi in senso stretto La visione accademica più accreditata rivolge infatti la propria attenzione soprattutto verso la virtù che, intesa in senso filosoficamente forte, risulta essere una qualità omnicomprensiva posseduta soltanto dal filosofo: egli, infatti, detiene la capacità di conseguire tutte le virtù cardinali nella maniera più completa, poiché ne conosce il fondamento ontologico, che a sua volta viene compreso grazie alla scienza delle cose in sé. Non contemplando però un grado di virtù di minor complessità, e di maggior apertura, questa visione che privilegia la virtù filosofica risulta penalizzante da un punto di vista antropologico e filosofico, poiché, potendo parlare di virtù vera e propria solo nel caso dei filosofi, ci si troverebbe a confrontarsi con un’etica che non prende atto di un’enorme zona grigia dell’agire umano: l’argomento più cogente è che, se senza virtù non ci potesse essere un agire moralmente corretto (come d’altronde emerge dal pensiero di Platone), ne deriva che la grande maggioranza degli esseri umani sarebbero condannati ad una vita amorale o addirittura viziosa, degenere. Il presente elaborato intende quindi evidenziare l’impegno di Platone nell’elaborazione filosoficamente fondata di virtù demotiche, grazie alle quali anche i non-filosofi possono vivere secondo virtù. L’obiettivo verrà perseguito sulla base dell’osservazione dei passi salienti rispetto all’argomento all’interno della Repubblica, opera fondamentale all’interno del corpus del filosofo ateniese.

Le virtù demotiche nella Repubblica di Platone

ROMANO, ALBERTO
2022/2023

Abstract

Il presente elaborato si propone evidenziare come, nell’ambito della dottrina filosofica di Platone, vi sia un notevole interesse verso le cosiddette virtù demotiche, ovvero quelle virtù che, datesi in un certo grado non apicale, permettono di perseguire il bene anche a coloro i quali non raggiungono l’episteme, ovvero la scienza in senso forte, cardine e bussola dell’agire morale, ottenibile però solamente dai filosofi in senso stretto La visione accademica più accreditata rivolge infatti la propria attenzione soprattutto verso la virtù che, intesa in senso filosoficamente forte, risulta essere una qualità omnicomprensiva posseduta soltanto dal filosofo: egli, infatti, detiene la capacità di conseguire tutte le virtù cardinali nella maniera più completa, poiché ne conosce il fondamento ontologico, che a sua volta viene compreso grazie alla scienza delle cose in sé. Non contemplando però un grado di virtù di minor complessità, e di maggior apertura, questa visione che privilegia la virtù filosofica risulta penalizzante da un punto di vista antropologico e filosofico, poiché, potendo parlare di virtù vera e propria solo nel caso dei filosofi, ci si troverebbe a confrontarsi con un’etica che non prende atto di un’enorme zona grigia dell’agire umano: l’argomento più cogente è che, se senza virtù non ci potesse essere un agire moralmente corretto (come d’altronde emerge dal pensiero di Platone), ne deriva che la grande maggioranza degli esseri umani sarebbero condannati ad una vita amorale o addirittura viziosa, degenere. Il presente elaborato intende quindi evidenziare l’impegno di Platone nell’elaborazione filosoficamente fondata di virtù demotiche, grazie alle quali anche i non-filosofi possono vivere secondo virtù. L’obiettivo verrà perseguito sulla base dell’osservazione dei passi salienti rispetto all’argomento all’interno della Repubblica, opera fondamentale all’interno del corpus del filosofo ateniese.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/109189