Quali processi di canonizzazione e di rifiuto intervengono a determinare l'accettazione e la trasmissione di certi miti piuttosto che di altri? E, nello specifico, perché il canone dei miti che sono alla base della cultura occidentale è così relativamente ristretto? E ancora perché la nostra condizione psicologica e culturale, nei suoi momenti significativi, continua a riferirsi alla medesima cerchia di miti-chiave? Queste le prime domande da cui ha preso spunto la mia riflessione e dalle quali si è sviluppata la mia indagine al cui centro vi è il mito di Antigone. Il poeta e il drammaturgo invocano l'autorità del mito per conferire a un evento o a un conflitto sociale del loro tempo, limitato dalle circostanze, la visibilità e la logica inesorabile di quanto è già accaduto e che tutti conoscono. Il mito permette di gettare luce sugli avvenimenti inserendoli in una struttura già nota e ben definita. Probabilmente è stata proprio la permeabilità del grande mito alle pressioni politiche e sociali del momento ad assicurare alla tragedia greca il notevole successo ottenuto. Lévy sostiene che l'intera saga di Edipo e dei suoi figli rispecchi il momento oscuro e violento della transizione da un sistema autoctono matrilineare alle convenzioni patrilineari della successione dinastica e della divisione dei beni, portate dalle invasioni doriche. Sembra più che probabile che nel nodo dell'incesto che caratterizza la stirpe di Edipo, nel suo faccia a faccia con l'enigma della Sfinge, ci sia l'eco delle incertezze che hanno segnato in Occidente l'evoluzione dei sistemi di parentela e delle istituzioni civili prodotte e sostenute da questi sistemi stessi. Steiner osserva come questa evoluzione possa ipoteticamente essere associata agli aspetti fondamentali della nostra sintassi (genere, numero, tempi e modi) e in essa si rispecchi. Nella Casa di Laio, egli ritiene, le origini antropologiche, sociologiche e linguistiche sono molto probabilmente inseparabili da quelli genealogiche. Ogni epoca fa riferimento a una determinata mitologia, in grado di esprimerne le preoccupazioni e di rifletterne aspirazioni e inquietudini. Il mito, sempre suscettibile al rinnovamento, acquista più o meno importanza a seconda della capacità della sua struttura interna di adattarsi alle esigenze che caratterizzano il pensiero del tempo. Il mito nella cultura contemporanea ha perso il valore primordiale di proiezione dei dati immediati della coscienza per diventare evocazione dei problemi culturali, politici e sociali. La mia comparazione tra due riscritture del mito di Antigone, una antica e l'altra moderna, trarrà le principali linee guida dalla proposta teorica e metodologica espressa da Heidmann nel suo saggio Poétiques comparées des mythes. Ne analizzerò alcune modalità discorsive al fine di esplorare la parte che esse rivestono nella costituzione dei significati attribuiti al mito in questione. Il ritorno ai miti-chiave greci è un riflesso costante nell'arte e nella letteratura occidentale. Questa è l'ipotesi dell'antropologia strutturale, in particolare l'opinione di Lévi-Strauss, secondo cui questi miti della nostra cultura corrispondono a confronti sociali primordiali e all'evoluzione delle configurazioni mentali e delle istituzioni materiali, nelle quali questi confronti hanno potuto essere immaginati, espressi e in parte risolti. Con la comparazione tra l'Antigone di Sofocle e quella di Anouilh ho voluto mostrare che, attraverso la sua enunciazione e la sua impostazione del discorso sempre singolare, questo mito greco riceve in realtà ogni volta un significato differente. Le riscritture moderne reinventano, in ogni rappresentazione, il significato del mito di Antigone secondo paradigmi culturali e sociali molto diversi. Ritengo che il senso della riscrittura di un mito emerga dalla particolare relazione tra il mondo del mito e quello dell'enunciatore.

Il mito di Antigone da Sofocle ad Anouilh

NEVE, GIULIA
2014/2015

Abstract

Quali processi di canonizzazione e di rifiuto intervengono a determinare l'accettazione e la trasmissione di certi miti piuttosto che di altri? E, nello specifico, perché il canone dei miti che sono alla base della cultura occidentale è così relativamente ristretto? E ancora perché la nostra condizione psicologica e culturale, nei suoi momenti significativi, continua a riferirsi alla medesima cerchia di miti-chiave? Queste le prime domande da cui ha preso spunto la mia riflessione e dalle quali si è sviluppata la mia indagine al cui centro vi è il mito di Antigone. Il poeta e il drammaturgo invocano l'autorità del mito per conferire a un evento o a un conflitto sociale del loro tempo, limitato dalle circostanze, la visibilità e la logica inesorabile di quanto è già accaduto e che tutti conoscono. Il mito permette di gettare luce sugli avvenimenti inserendoli in una struttura già nota e ben definita. Probabilmente è stata proprio la permeabilità del grande mito alle pressioni politiche e sociali del momento ad assicurare alla tragedia greca il notevole successo ottenuto. Lévy sostiene che l'intera saga di Edipo e dei suoi figli rispecchi il momento oscuro e violento della transizione da un sistema autoctono matrilineare alle convenzioni patrilineari della successione dinastica e della divisione dei beni, portate dalle invasioni doriche. Sembra più che probabile che nel nodo dell'incesto che caratterizza la stirpe di Edipo, nel suo faccia a faccia con l'enigma della Sfinge, ci sia l'eco delle incertezze che hanno segnato in Occidente l'evoluzione dei sistemi di parentela e delle istituzioni civili prodotte e sostenute da questi sistemi stessi. Steiner osserva come questa evoluzione possa ipoteticamente essere associata agli aspetti fondamentali della nostra sintassi (genere, numero, tempi e modi) e in essa si rispecchi. Nella Casa di Laio, egli ritiene, le origini antropologiche, sociologiche e linguistiche sono molto probabilmente inseparabili da quelli genealogiche. Ogni epoca fa riferimento a una determinata mitologia, in grado di esprimerne le preoccupazioni e di rifletterne aspirazioni e inquietudini. Il mito, sempre suscettibile al rinnovamento, acquista più o meno importanza a seconda della capacità della sua struttura interna di adattarsi alle esigenze che caratterizzano il pensiero del tempo. Il mito nella cultura contemporanea ha perso il valore primordiale di proiezione dei dati immediati della coscienza per diventare evocazione dei problemi culturali, politici e sociali. La mia comparazione tra due riscritture del mito di Antigone, una antica e l'altra moderna, trarrà le principali linee guida dalla proposta teorica e metodologica espressa da Heidmann nel suo saggio Poétiques comparées des mythes. Ne analizzerò alcune modalità discorsive al fine di esplorare la parte che esse rivestono nella costituzione dei significati attribuiti al mito in questione. Il ritorno ai miti-chiave greci è un riflesso costante nell'arte e nella letteratura occidentale. Questa è l'ipotesi dell'antropologia strutturale, in particolare l'opinione di Lévi-Strauss, secondo cui questi miti della nostra cultura corrispondono a confronti sociali primordiali e all'evoluzione delle configurazioni mentali e delle istituzioni materiali, nelle quali questi confronti hanno potuto essere immaginati, espressi e in parte risolti. Con la comparazione tra l'Antigone di Sofocle e quella di Anouilh ho voluto mostrare che, attraverso la sua enunciazione e la sua impostazione del discorso sempre singolare, questo mito greco riceve in realtà ogni volta un significato differente. Le riscritture moderne reinventano, in ogni rappresentazione, il significato del mito di Antigone secondo paradigmi culturali e sociali molto diversi. Ritengo che il senso della riscrittura di un mito emerga dalla particolare relazione tra il mondo del mito e quello dell'enunciatore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/10772