La vicenda cautelare si presenta come una tra le più tormentate materie di tutto il diritto processuale penale. La sua compatibilità con il sistema delle garanzie alla libertà del singolo, proclamato e difeso dalla Costituzione, è oggetto di un dibattito che non sembra potersi placare, tra chi auspica l’eliminazione alla radice dell’istituto nel suo complesso e chi, viceversa, in ossequio al previgente sistema di stampo inquisitorio, vorrebbe dar maggior voce alle esigenze della collettività, con buona pace del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. La motivazione richiesta al giudice della cautela si presenta, in dato contesto, lo strumento più importante per garantire al singolo il rispetto delle prescrizioni di legge all’atto di applicazione di una misura restrittiva della libertà. Parallelamente, la discrezionalità che di volta in volta l’ordinamento riconosce allo stesso giudice è il mezzo attraverso il quale si esprime il segno della politica criminale che si sceglie di seguire: l’ampliamento delle presunzioni assolute di colpevolezza danno risposta a istanze di maggior sicurezza, laddove, la riduzione delle stesse, a maggior ragione se accompagnata da un obbligo, a pena di nullità, di autonomia della valutazione del provvedimento de libertate, concorre a dar vigore alle garanzie processuali del soggetto destinatario del provvedimento. In questi termini, la portata della discrezionalità accordata al giudice della cautela diventa vero e proprio strumento di giustizia sostanziale. Le modifiche più recenti alla materia cautelare si rinvengono nella riforma del 2015: se la sua ratio ispiratrice era quella di invigorire la discrezionalità del giudice, si è sottolineato come l’obiettivo non sia stato, tuttavia, raggiunto nella misura auspicata. Non resta che chiedersi se sia possibile giungere a un bilanciamento perfetto degli interessi in gioco (libertà del singolo, da una parte, ed esigenze di tutela della collettività, dall’altra) e se sia davvero opportuno richiedere al solo legislatore di occuparsi del problema. Forse solo l’integrazione tra diritto positivo ed elaborazione giurisprudenziale, con criteri che guidino il giudice nell’atto di dare la giusta rilevanza al dato concreto, potrà creare una disciplina che si presenti quanto più possibile conforme al dettato costituzionale.

La motivazione dei provvedimenti cautelari

TUSA, SIMONA
2022/2023

Abstract

La vicenda cautelare si presenta come una tra le più tormentate materie di tutto il diritto processuale penale. La sua compatibilità con il sistema delle garanzie alla libertà del singolo, proclamato e difeso dalla Costituzione, è oggetto di un dibattito che non sembra potersi placare, tra chi auspica l’eliminazione alla radice dell’istituto nel suo complesso e chi, viceversa, in ossequio al previgente sistema di stampo inquisitorio, vorrebbe dar maggior voce alle esigenze della collettività, con buona pace del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. La motivazione richiesta al giudice della cautela si presenta, in dato contesto, lo strumento più importante per garantire al singolo il rispetto delle prescrizioni di legge all’atto di applicazione di una misura restrittiva della libertà. Parallelamente, la discrezionalità che di volta in volta l’ordinamento riconosce allo stesso giudice è il mezzo attraverso il quale si esprime il segno della politica criminale che si sceglie di seguire: l’ampliamento delle presunzioni assolute di colpevolezza danno risposta a istanze di maggior sicurezza, laddove, la riduzione delle stesse, a maggior ragione se accompagnata da un obbligo, a pena di nullità, di autonomia della valutazione del provvedimento de libertate, concorre a dar vigore alle garanzie processuali del soggetto destinatario del provvedimento. In questi termini, la portata della discrezionalità accordata al giudice della cautela diventa vero e proprio strumento di giustizia sostanziale. Le modifiche più recenti alla materia cautelare si rinvengono nella riforma del 2015: se la sua ratio ispiratrice era quella di invigorire la discrezionalità del giudice, si è sottolineato come l’obiettivo non sia stato, tuttavia, raggiunto nella misura auspicata. Non resta che chiedersi se sia possibile giungere a un bilanciamento perfetto degli interessi in gioco (libertà del singolo, da una parte, ed esigenze di tutela della collettività, dall’altra) e se sia davvero opportuno richiedere al solo legislatore di occuparsi del problema. Forse solo l’integrazione tra diritto positivo ed elaborazione giurisprudenziale, con criteri che guidino il giudice nell’atto di dare la giusta rilevanza al dato concreto, potrà creare una disciplina che si presenti quanto più possibile conforme al dettato costituzionale.
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