Nell’ordinamento italiano, come espresso nel testo costituzionale al comma 3 dell’Art. 27, le pene devono essere volte alla rieducazione dell’individuo. Il presente elaborato,concentrandosi sulla pena della privazione della libertà, ha l’obiettivo di analizzare le modalità attraverso cui, nel contesto penitenziario odierno, la riabilitazione dovrebbe, in via teorica, essere attuata e come, nella realtà, questo resti oggi un nobile ma inattuato principio. In particolare, si tenterà di sottolineare come in contesti totali, quali quelli carcerari, dove la vita egli individui si svolge e si evolve isolatamente rispetto alla società, assume forte valore l’introduzione della dinamicità. Il concetto di dinamicità è qui introdotto, oltre che in riferimento alla specifica forma di sorveglianza, anche in riferimento ai possibili stimoli che gli operatori impegnati all’interno del contesto, e più in generale la stessa società, potrebbero offrire ed offrono, nel tentativo di superare la staticità dei luoghi di reclusione e renderli maggiormente attivanti. Nell’elaborato si espone una descrizione dei penitenziari italiani, in cui vengono riportati dati relativi alla popolazione detenuta e all’organico del personale impegnato nel contesto. Vengono poi espresse sinteticamente i riferimenti giuridici posti a fondamento del trattamento riabilitativo, questo al fine di comprendere come oggi siano, o non siano, concretamente attuati. In seguito il discorso si evolve descrivendo come, nell’ottica sempre della finalità rieducativa, la dinamicità, non solo della sorveglianza, ma più in generale del contesto stesso possa assumere significativo valore. Nell’ottica d’analisi, tra le fonti di dinamicità di importante rilevanza, verranno considerate oltre quella offerta dai professionisti, quali a titolo esemplificativo, medici psicologi e mediatori, anche quella che potrebbe potenzialmente essere offerta da organizzazioni di volontariato e volontari. A questo punto, in linea su quanto affermato da Scarscelli in “Controllo e autodeterminazione nel lavoro sociale. Una prospettiva anti-oppressiva” (2022), viene evidenziata l’importanza dell’adozione di un approccio anti-oppressivo. L'importanza dell’adozione da parte degli operatori di tale approccio, risulta centrale in quanto si ritiene possa sfavorire processi di stigmatizzazione e spoliazione identitaria e, al contempo, stimolare la creazione di un ambiente che ponga al centro la capacità di autodeterminazione del soggetto. Con l'adozione di tale approccio, potrebbe quindi essere promossa un’istituzione carceraria che, andando oltre le nozioni di reo e di sanzione, si configuri come ciò che in “ Il carcere: assetti istituzionali e organizzativi” (2021) viene definito da Salvato e Sangiovanni un' "enabling environment”. Infine, sempre su questa linea, il testo si conclude con un affondo specifico sul ruolo del servizio sociale nell’ambito penitenziario. In questa sede, viene quindi sottolineato il ruolo che l’operato di tali professionisti potrebbe assumere oltre che negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, anche all’interno dei contesti di reclusione. Ambienti questi ultimi, dove l’azione di tali professionisti, improntata ad una visione olistica della persona, potrebbe essere di supporto alle varie transizioni che il soggetto si trova ad affrontare, prima, durante e dopo la detenzione.
Il carcere tra persistenze e necessità di rinnovamento. Quale ruolo per il servizio sociale?
DURANTE, ALICE
2023/2024
Abstract
Nell’ordinamento italiano, come espresso nel testo costituzionale al comma 3 dell’Art. 27, le pene devono essere volte alla rieducazione dell’individuo. Il presente elaborato,concentrandosi sulla pena della privazione della libertà, ha l’obiettivo di analizzare le modalità attraverso cui, nel contesto penitenziario odierno, la riabilitazione dovrebbe, in via teorica, essere attuata e come, nella realtà, questo resti oggi un nobile ma inattuato principio. In particolare, si tenterà di sottolineare come in contesti totali, quali quelli carcerari, dove la vita egli individui si svolge e si evolve isolatamente rispetto alla società, assume forte valore l’introduzione della dinamicità. Il concetto di dinamicità è qui introdotto, oltre che in riferimento alla specifica forma di sorveglianza, anche in riferimento ai possibili stimoli che gli operatori impegnati all’interno del contesto, e più in generale la stessa società, potrebbero offrire ed offrono, nel tentativo di superare la staticità dei luoghi di reclusione e renderli maggiormente attivanti. Nell’elaborato si espone una descrizione dei penitenziari italiani, in cui vengono riportati dati relativi alla popolazione detenuta e all’organico del personale impegnato nel contesto. Vengono poi espresse sinteticamente i riferimenti giuridici posti a fondamento del trattamento riabilitativo, questo al fine di comprendere come oggi siano, o non siano, concretamente attuati. In seguito il discorso si evolve descrivendo come, nell’ottica sempre della finalità rieducativa, la dinamicità, non solo della sorveglianza, ma più in generale del contesto stesso possa assumere significativo valore. Nell’ottica d’analisi, tra le fonti di dinamicità di importante rilevanza, verranno considerate oltre quella offerta dai professionisti, quali a titolo esemplificativo, medici psicologi e mediatori, anche quella che potrebbe potenzialmente essere offerta da organizzazioni di volontariato e volontari. A questo punto, in linea su quanto affermato da Scarscelli in “Controllo e autodeterminazione nel lavoro sociale. Una prospettiva anti-oppressiva” (2022), viene evidenziata l’importanza dell’adozione di un approccio anti-oppressivo. L'importanza dell’adozione da parte degli operatori di tale approccio, risulta centrale in quanto si ritiene possa sfavorire processi di stigmatizzazione e spoliazione identitaria e, al contempo, stimolare la creazione di un ambiente che ponga al centro la capacità di autodeterminazione del soggetto. Con l'adozione di tale approccio, potrebbe quindi essere promossa un’istituzione carceraria che, andando oltre le nozioni di reo e di sanzione, si configuri come ciò che in “ Il carcere: assetti istituzionali e organizzativi” (2021) viene definito da Salvato e Sangiovanni un' "enabling environment”. Infine, sempre su questa linea, il testo si conclude con un affondo specifico sul ruolo del servizio sociale nell’ambito penitenziario. In questa sede, viene quindi sottolineato il ruolo che l’operato di tali professionisti potrebbe assumere oltre che negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, anche all’interno dei contesti di reclusione. Ambienti questi ultimi, dove l’azione di tali professionisti, improntata ad una visione olistica della persona, potrebbe essere di supporto alle varie transizioni che il soggetto si trova ad affrontare, prima, durante e dopo la detenzione.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/105436