Le Province, sorte ancora prima dell'Unità d'Italia e riconosciute dalla Carta Costituzionale al pari di Comuni e Regioni, acquisiscono capacità impositiva, statutaria, regolamentare e finanziaria solo a partire dalla L. 142/90 e divengono nel ventennio a cavallo del 2000 un'importante raccordo tra la Regione, troppo grande per amministrare adeguatamente territori tra loro spesso eterogenei, e i singoli Comuni, sovente troppo piccoli per erogare servizi efficienti. Il processo di riforma con il dichiarato obiettivo di ridurre gli sprechi nella pubblica amministrazione che approda dopo ripetuti tentativi alla L. 56/2014, meglio conosciuta come Legge Delrio, rimodula le competenze di vari Enti locali territoriali. Se le Province vengono così trasformate in enti di secondo livello con organi, poteri e funzioni ridotti, le neonate Città Metropolitane rivelano un semplice cambio di ragione sociale delle ex Province delle principali città capoluogo, anzichè divenire aree metropolitane tese al coordinamento di attività economiche, sociali e culturali in ambiti territoriali omogenei. Il processo decisionale che porta all'approvazione della riforma evidenzia una scelta di policy secondo un“modello cognitivo”, caratterizzato da una razionalità limitata non basata su calcoli precisi ma su semplici aspettative. La forma ibrida determinata in vista della loro soppressione, da attuarsi con Legge costituzionale, perdura tuttavia ancora oggi a causa della bocciatura del referendum costituzionale che avrebbe dovuto approvarla. Le Province continuano quindi ad esistere e ad espletare le loro pur ridotte funzioni a seguito della fase attuativa che vede coinvolte le 15 Regioni a Statuto ordinario, in un quadro reso più complesso da una serie di norme che impongono rilevanti riduzioni di trasferimenti finalizzati alla riduzione della spesa pubblica, determinando Enti con bilanci spesso in rosso e ricadute negative sui servizi erogati ai cittadini. Né l'attuazione della riforma nel caso della Città Metropolitana di Torino, analizzata più in dettaglio attraverso una serie di indicatori quantitativi riferiti ad alcune funzioni fondamentali dell'Ente, quali l'istruzione pubblica, la gestione del territorio e la tutela ambientale, sembra discostarsi da queste tendenze emerse a livello generale. Politiche di processo più che di contenuto, ispirate a calcoli di convenienza elettorale a fronte di un'opinione pubblica convinta dell'inutilità di tali Enti piuttosto che a serie analisi costi/benefici, producono quale unica riduzione di spesa il minor costo degli organi politici provinciali - oggi guidati da presidenti e consiglieri non direttamente eletti dai cittadini, a prezzo di un deficit della rappresentanza delle istanze del territorio – a fronte di un incremento di costi dovuti al trasferimento di funzioni e quindi personale dalle Province ad altri Enti con il necessario adeguamento dei minimi tabellari degli stipendi. A fronte delle criticità emerse nell'attuale assetto delle Province/Città Metropolitane, nell'agenda istituzionale non pare profilarsi un nuovo “policy change” che, uscendo dalla logica di interventi settoriali e disorganici, configuri un più efficiente assetto istituzionale delle autonomie locali per un'effettiva razionalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni a tutti i livelli del governo territoriale.

IL PROCESSO DI RIFORMA PER IL RIORDINO DEGLI ENTI LOCALI: IL CASO DELLE PROVINCE

LIGOTINO, SONIA GIOVANNA
2018/2019

Abstract

Le Province, sorte ancora prima dell'Unità d'Italia e riconosciute dalla Carta Costituzionale al pari di Comuni e Regioni, acquisiscono capacità impositiva, statutaria, regolamentare e finanziaria solo a partire dalla L. 142/90 e divengono nel ventennio a cavallo del 2000 un'importante raccordo tra la Regione, troppo grande per amministrare adeguatamente territori tra loro spesso eterogenei, e i singoli Comuni, sovente troppo piccoli per erogare servizi efficienti. Il processo di riforma con il dichiarato obiettivo di ridurre gli sprechi nella pubblica amministrazione che approda dopo ripetuti tentativi alla L. 56/2014, meglio conosciuta come Legge Delrio, rimodula le competenze di vari Enti locali territoriali. Se le Province vengono così trasformate in enti di secondo livello con organi, poteri e funzioni ridotti, le neonate Città Metropolitane rivelano un semplice cambio di ragione sociale delle ex Province delle principali città capoluogo, anzichè divenire aree metropolitane tese al coordinamento di attività economiche, sociali e culturali in ambiti territoriali omogenei. Il processo decisionale che porta all'approvazione della riforma evidenzia una scelta di policy secondo un“modello cognitivo”, caratterizzato da una razionalità limitata non basata su calcoli precisi ma su semplici aspettative. La forma ibrida determinata in vista della loro soppressione, da attuarsi con Legge costituzionale, perdura tuttavia ancora oggi a causa della bocciatura del referendum costituzionale che avrebbe dovuto approvarla. Le Province continuano quindi ad esistere e ad espletare le loro pur ridotte funzioni a seguito della fase attuativa che vede coinvolte le 15 Regioni a Statuto ordinario, in un quadro reso più complesso da una serie di norme che impongono rilevanti riduzioni di trasferimenti finalizzati alla riduzione della spesa pubblica, determinando Enti con bilanci spesso in rosso e ricadute negative sui servizi erogati ai cittadini. Né l'attuazione della riforma nel caso della Città Metropolitana di Torino, analizzata più in dettaglio attraverso una serie di indicatori quantitativi riferiti ad alcune funzioni fondamentali dell'Ente, quali l'istruzione pubblica, la gestione del territorio e la tutela ambientale, sembra discostarsi da queste tendenze emerse a livello generale. Politiche di processo più che di contenuto, ispirate a calcoli di convenienza elettorale a fronte di un'opinione pubblica convinta dell'inutilità di tali Enti piuttosto che a serie analisi costi/benefici, producono quale unica riduzione di spesa il minor costo degli organi politici provinciali - oggi guidati da presidenti e consiglieri non direttamente eletti dai cittadini, a prezzo di un deficit della rappresentanza delle istanze del territorio – a fronte di un incremento di costi dovuti al trasferimento di funzioni e quindi personale dalle Province ad altri Enti con il necessario adeguamento dei minimi tabellari degli stipendi. A fronte delle criticità emerse nell'attuale assetto delle Province/Città Metropolitane, nell'agenda istituzionale non pare profilarsi un nuovo “policy change” che, uscendo dalla logica di interventi settoriali e disorganici, configuri un più efficiente assetto istituzionale delle autonomie locali per un'effettiva razionalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni a tutti i livelli del governo territoriale.
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