Al giorno d'oggi una moltitudine di eventi sommergono le vite della maggior parte degli individui ignari del perché, a volte, possano sentirsi isolati dal resto del mondo, non capiti, deboli e cagionevoli. Spesso capita di avere dei disturbi che complicano le cose, portando l'individuo a stati ansioso-depressivi che a loro volta attirano una catena di medicinali e dolore difficile da interrompere. Spesso si sente dire quanto l'attuale cultura, soprattutto italiana, si distacchi dall'approccio psicologico e troppo poco spesso si sente parlare di quanto la mente sia collegata al corpo e viceversa; ancor meno, si percepisce l'importanza del contesto in cui si vive e quanto queste ultime tre cose siano collegate tra di loro. Ancora oggi si dubita dell'importanza della cittadinanza attiva, della possibilità di formare una comunità unita, favorendo la separazione tra gli individui, rispetto all'unione e all'aiuto reciproco. Si riesce anche a dubitare dei professionisti della salute che ci guidano dalla nascita fino alla morte, quale per esempio il medico di medicina generale; si sottovaluta, altresì, il suo ruolo nella vita del singolo individuo e della famiglia di cui fa parte, riducendolo ad un semplice distributore di ricette e medicinali. In questo mondo formato principalmente da egoismo e da consumismo, vi sono delle risorse sempre state a nostra disposizione che, stranamente, non si conoscono. Che sia per disinformazione o per voluto oscurantismo, rimangono delle risorse importanti che meritano di essere conosciute e che possono migliorare la vita di chi abbia voglia di conoscerle e magari di promulgarle. La seguente tesi si occupa di analizzare la storia di un individuo che potrebbe essere definito rivoluzionario per la sua epoca e anche per la società attuale. Michael Balint, attraverso il suo lavoro, è riuscito a dimostrare quanto l'ascolto, se vero, voluto e sentito, riesca a curare anche i malanni peggiori. “Il medico come farmaco” rimane la frase che meglio espleta il suo messaggio. L'obiettivo principale è mostrare l'evoluzione che, nel tempo, gli insegnamenti di Balint hanno avuto nel mondo della cura e come, ad oggi, questi insegnamenti si siano evoluti, fino a ribaltare il focus principale. Si è passati dall'approccio psicologico del medico di medicina generale, per una cura più appropriata ed effettiva, alla cura del curante, che rischia la sua salute a causa dell'assorbimento del malessere che il suo lavoro, necessariamente, pretende. Quante volte ci ascoltiamo veramente? Quante altre ascoltiamo veramente gli altri? Risulta ovviamente cosa complessa uscire fuori dall'immaginario impostoci dai media e dalla cultura vigente. La carriera è tanto più importante da preferire stress e somatizzazioni ad una sana conoscenza di sé. Con questo non si vuole sminuire l'importanza dell'autorealizzazione, bensì far sì che si esca dal dinamismo “fai perché devi”, fino ad arrivare ad un “fai perché vuoi”. Quante volte ci sentiamo in dovere di fare qualcosa e poi stranamente subentrano cronicità che prima non avevamo? Problemi alla pressione sanguigna, mal di testa, attacchi di panico e altre forme di somatizzazione. È utopico sperare in una forma di consapevolezza che abbracci tutti gli individui della società. È più auspicabile che siano i professionisti della salute ad occuparsene, supportati dallo stato italiano. La speranza è che si sviluppi nei medici di medicina generale la consapevolezza dell'importanza del loro ruolo e che siano in grado di portarne il peso, attraverso l'utilizzo di ascolto attivo, empatia e cura collaborativa.
Il medico come farmaco. La riscoperta dei gruppi Balint.
BARBAGALLO, ANDREA
2018/2019
Abstract
Al giorno d'oggi una moltitudine di eventi sommergono le vite della maggior parte degli individui ignari del perché, a volte, possano sentirsi isolati dal resto del mondo, non capiti, deboli e cagionevoli. Spesso capita di avere dei disturbi che complicano le cose, portando l'individuo a stati ansioso-depressivi che a loro volta attirano una catena di medicinali e dolore difficile da interrompere. Spesso si sente dire quanto l'attuale cultura, soprattutto italiana, si distacchi dall'approccio psicologico e troppo poco spesso si sente parlare di quanto la mente sia collegata al corpo e viceversa; ancor meno, si percepisce l'importanza del contesto in cui si vive e quanto queste ultime tre cose siano collegate tra di loro. Ancora oggi si dubita dell'importanza della cittadinanza attiva, della possibilità di formare una comunità unita, favorendo la separazione tra gli individui, rispetto all'unione e all'aiuto reciproco. Si riesce anche a dubitare dei professionisti della salute che ci guidano dalla nascita fino alla morte, quale per esempio il medico di medicina generale; si sottovaluta, altresì, il suo ruolo nella vita del singolo individuo e della famiglia di cui fa parte, riducendolo ad un semplice distributore di ricette e medicinali. In questo mondo formato principalmente da egoismo e da consumismo, vi sono delle risorse sempre state a nostra disposizione che, stranamente, non si conoscono. Che sia per disinformazione o per voluto oscurantismo, rimangono delle risorse importanti che meritano di essere conosciute e che possono migliorare la vita di chi abbia voglia di conoscerle e magari di promulgarle. La seguente tesi si occupa di analizzare la storia di un individuo che potrebbe essere definito rivoluzionario per la sua epoca e anche per la società attuale. Michael Balint, attraverso il suo lavoro, è riuscito a dimostrare quanto l'ascolto, se vero, voluto e sentito, riesca a curare anche i malanni peggiori. “Il medico come farmaco” rimane la frase che meglio espleta il suo messaggio. L'obiettivo principale è mostrare l'evoluzione che, nel tempo, gli insegnamenti di Balint hanno avuto nel mondo della cura e come, ad oggi, questi insegnamenti si siano evoluti, fino a ribaltare il focus principale. Si è passati dall'approccio psicologico del medico di medicina generale, per una cura più appropriata ed effettiva, alla cura del curante, che rischia la sua salute a causa dell'assorbimento del malessere che il suo lavoro, necessariamente, pretende. Quante volte ci ascoltiamo veramente? Quante altre ascoltiamo veramente gli altri? Risulta ovviamente cosa complessa uscire fuori dall'immaginario impostoci dai media e dalla cultura vigente. La carriera è tanto più importante da preferire stress e somatizzazioni ad una sana conoscenza di sé. Con questo non si vuole sminuire l'importanza dell'autorealizzazione, bensì far sì che si esca dal dinamismo “fai perché devi”, fino ad arrivare ad un “fai perché vuoi”. Quante volte ci sentiamo in dovere di fare qualcosa e poi stranamente subentrano cronicità che prima non avevamo? Problemi alla pressione sanguigna, mal di testa, attacchi di panico e altre forme di somatizzazione. È utopico sperare in una forma di consapevolezza che abbracci tutti gli individui della società. È più auspicabile che siano i professionisti della salute ad occuparsene, supportati dallo stato italiano. La speranza è che si sviluppi nei medici di medicina generale la consapevolezza dell'importanza del loro ruolo e che siano in grado di portarne il peso, attraverso l'utilizzo di ascolto attivo, empatia e cura collaborativa.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/103916