Valutare lo stato di mente di un soggetto, ai fini di ricercare la sussistenza di un'infermità che sia rilevante per il diritto penale, è un'operazione non certo priva di complessità. È difficile delineare il confine che separa una condizione psichica caratterizzata da una vera e propria malattia, che compromette totalmente la capacità di intendere e di volere di un individuo, da quelle altre situazioni in grado di esercitare un'influenza su di essa in maniera soltanto parziale. E altrettanto complicato risulta stabilire la distinzione tra queste ultime rispetto alle condizioni mentali che si possono definire di normalità. È questo un settore in cui il diritto risente del contributo di altre discipline, che possiamo definire extra-giuridiche, poiché indispensabile è garantire l'interdisciplinarità al fine di giungere ad una valutazione complessiva che tenga conto di tutti i fattori che entrano in gioco, che non attengono esclusivamente al campo giuridico ma richiedono l'intervento delle scienze mediche e psicologiche, tra le altre, per giungere ad un giudizio che consenta di stabile se ricorra o meno l'imputabilità. Molto spesso il vizio di mente viene chiamato in causa a fronte di episodi, particolarmente gravi, di violenza, nel tentativo, forse, di giustificare l'irrazionalità che deriva dalle modalità con cui sono stati compiuti. Però, un comportamento violento, per quanto brutale possa apparire, non è sempre necessariamente espressione e conseguenza di una devianza mentale del soggetto che l'ha posto in essere. Così è stato, ad esempio, nel caso di Vincenzo Verzeni, un contadino bergamasco che verso la fine dell'Ottocento ha ucciso e divorato i resti di alcune donne, oppure Gianfranco Stevanin, che si è reso autore di aggressioni e omicidi ai danni di giovani donne con modalità piuttosto violente. Entrambi, a seguito di minuziose perizie, sono stati giudicati capaci di intendere e di volere al momento del fatto, ma come si vedrà, non senza difficoltà. Sorte diversa è toccata a Luigi Chiatti, anche conosciuto come “il mostro di Foligno”, che ha ucciso due bambini e che è stato riconosciuto parzialmente incapace di intendere e di volere poiché affetto da un disturbo narcisistico della personalità che lo rendeva profondamente immaturo negli atteggiamenti e deficitario nella formazione della sua volontà. Il presente lavoro si propone di analizzare l'evoluzione della disciplina relativa all'accertamento del vizio di mente, con l'esame di alcuni casi pratici riguardanti soggetti autori del reato di omicidio, ponendo l'attenzione su alcuni aspetti in particolare: come l'evoluzione subita dalle metodologie impiegate in tale settore, dalla teoria dell'atavismo di Cesare Lombroso fino alle più moderne acquisizioni in campo psicologico e la controversa formulazione dell'art. 46 del Codice Zanardelli, con conseguente evoluzione della disciplina all'interno del Codice Rocco. Ci si interrogherà poi su cosa significhi “imputabilità” e su quali siano le cause che determinano il suo venir meno, principalmente in riferimento alla disciplina del vizio di mente. Da ultimo, ci si sposterà sul versante del trattamento dei soggetti riconosciuti totalmente o parzialmente infermi di mente e si seguiranno i principali interventi legislativi che dai manicomi criminali hanno condotto dapprima agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e, successivamente, dal 2015, all'istituzione delle nuove Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza.
L'accertamento dello stato di mente del soggetto omicida
SILEO, ANGELA
2018/2019
Abstract
Valutare lo stato di mente di un soggetto, ai fini di ricercare la sussistenza di un'infermità che sia rilevante per il diritto penale, è un'operazione non certo priva di complessità. È difficile delineare il confine che separa una condizione psichica caratterizzata da una vera e propria malattia, che compromette totalmente la capacità di intendere e di volere di un individuo, da quelle altre situazioni in grado di esercitare un'influenza su di essa in maniera soltanto parziale. E altrettanto complicato risulta stabilire la distinzione tra queste ultime rispetto alle condizioni mentali che si possono definire di normalità. È questo un settore in cui il diritto risente del contributo di altre discipline, che possiamo definire extra-giuridiche, poiché indispensabile è garantire l'interdisciplinarità al fine di giungere ad una valutazione complessiva che tenga conto di tutti i fattori che entrano in gioco, che non attengono esclusivamente al campo giuridico ma richiedono l'intervento delle scienze mediche e psicologiche, tra le altre, per giungere ad un giudizio che consenta di stabile se ricorra o meno l'imputabilità. Molto spesso il vizio di mente viene chiamato in causa a fronte di episodi, particolarmente gravi, di violenza, nel tentativo, forse, di giustificare l'irrazionalità che deriva dalle modalità con cui sono stati compiuti. Però, un comportamento violento, per quanto brutale possa apparire, non è sempre necessariamente espressione e conseguenza di una devianza mentale del soggetto che l'ha posto in essere. Così è stato, ad esempio, nel caso di Vincenzo Verzeni, un contadino bergamasco che verso la fine dell'Ottocento ha ucciso e divorato i resti di alcune donne, oppure Gianfranco Stevanin, che si è reso autore di aggressioni e omicidi ai danni di giovani donne con modalità piuttosto violente. Entrambi, a seguito di minuziose perizie, sono stati giudicati capaci di intendere e di volere al momento del fatto, ma come si vedrà, non senza difficoltà. Sorte diversa è toccata a Luigi Chiatti, anche conosciuto come “il mostro di Foligno”, che ha ucciso due bambini e che è stato riconosciuto parzialmente incapace di intendere e di volere poiché affetto da un disturbo narcisistico della personalità che lo rendeva profondamente immaturo negli atteggiamenti e deficitario nella formazione della sua volontà. Il presente lavoro si propone di analizzare l'evoluzione della disciplina relativa all'accertamento del vizio di mente, con l'esame di alcuni casi pratici riguardanti soggetti autori del reato di omicidio, ponendo l'attenzione su alcuni aspetti in particolare: come l'evoluzione subita dalle metodologie impiegate in tale settore, dalla teoria dell'atavismo di Cesare Lombroso fino alle più moderne acquisizioni in campo psicologico e la controversa formulazione dell'art. 46 del Codice Zanardelli, con conseguente evoluzione della disciplina all'interno del Codice Rocco. Ci si interrogherà poi su cosa significhi “imputabilità” e su quali siano le cause che determinano il suo venir meno, principalmente in riferimento alla disciplina del vizio di mente. Da ultimo, ci si sposterà sul versante del trattamento dei soggetti riconosciuti totalmente o parzialmente infermi di mente e si seguiranno i principali interventi legislativi che dai manicomi criminali hanno condotto dapprima agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e, successivamente, dal 2015, all'istituzione delle nuove Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/103356