The optimal method to choose to deliver a baby in a carrier of hemophilia is still a matter of debate. The choice should consider the maternal and neonatal risk of haemorrhagic complications. Our study is a single institution and retrospective study whose aim is to provide our experience in order to enrich the scientific literature that already exists. With the aim of studying our cohort, data about family history of haemorrhagic disease, prenatal diagnosis, mode of delivery and maternal and neonatal haemorrhages in the course of deliver and peripartum were collected. Other variables concerning the approach to the newborn, such as the way of vitamin K administration and the use of transcranial US, brain CT and brain MRI, were studied. In order to collect data, clinical records registered in the software “TrackCare” adopted by Città della Salute e della Scienza were examined, along with parental interviews. Statistical analyses were performed using STATA/SE 16.1 (Stata Corp, College Station, Texas, USA). 59 children with mild, moderate or severe type A or B haemophilia, born between 1999 and 2020, and 53 carriers were included in our cohort. Prenatal diagnosis for haemophilia was performed in 11 cases and in 7 cases the diagnosis was defined as “suspected” according to the family history. No voluntary termination of pregnancy was performed in carriers with positive prenatal diagnosis for hemophilia. Sporadic cases were 34, familiar cases were 25 instead. Vaginal delivery was performed in 29 cases, 2 of these were induced delivery and 1 was an instrumental delivery with vacuum (1,7% of our group, in contrast to 5% registered at Sant’Anna gynecological and obstetric hospital), Cesarian section was performed in 29 cases, 9 of these were emergency c-section. 2 women were treated with blood transfusion for post-partum haemorrhage following emergency c-section delivery. Knowing the diagnosis of hemophilia in the fetus, no statistically significant difference was found in the choice of the mode of delivery (p=0,573). Children with severe haemophilia were more likely to be born by c-section (p=0,022). 2 cephalohaematomas were diagnosed after vaginal delivery without instruments, while no child was affected by intracranial haemorrhage at the time of birth. 7 minor haemorrhages in sampling sites were found. There was no significant difference in frequency for cephalohaematomas between vaginal delivery and c-section (p=0,491). Treatment with infusion of FVIII was requested in 3 cases.
Il dibattito su quale sia la metodica ideale di parto da scegliere nelle donne carrier di emofilia è ancora aperto. La scelta deve essere ponderata sulla base del rischio materno e del neonato di presentare complicanze. Il nostro è uno studio retrospettivo monocentrico il cui obiettivo è quello di fornire la nostra esperienza per arricchire la letteratura esistente. Per studiare la nostra coorte abbiamo raccolto dati in merito all’anamnesi famigliare per patologia emorragica, alla diagnosi prenatale, al tipo di parto e ai sanguinamenti nel bambino e nella carrier nel periparto. Abbiamo indagato anche altre variabili inerenti all’approccio al neonato, tra cui la modalità di somministrazione della vitamina K e l’utilizzo di ecografia transcranica, di TC encefalo o di RM encefalo. Per raccogliere i dati ci siamo serviti delle cartelle cliniche presenti sul sistema informatico TrackCare di Città della Salute e della Scienza e abbiamo anche intervistato direttamente le pazienti mediante colloquio telefonico. Per l’analisi dei dati abbiamo usato il software statistico Stata/SE 16.1 (StataCorp, College Station, Texas, USA). Il campione preso in esame comprende una coorte consecutiva di 59 bambini nati tra il 1999 ed il 2020 affetti da emofilia A o B di tutti i gradi di severità (32 gravi, 10 moderati, 17 lievi) e di 53 donne carrier. La diagnosi prenatale per l’emofilia è stata eseguita in 11 casi, mentre in 7 casi è stato registrato un sospetto diagnostico su base anamnestica famigliare non indagato. In nessuna delle carrier in cui la diagnosi del feto è stata confermata è stata scelta l’interruzione volontaria di gravidanza. I casi indicati come sporadici sono stati 34, quelli famigliari 25. Il parto vaginale naturale è stato effettuato in 29 casi, di cui 2 sono stati indotti e 1 strumentale con ventosa (1,7% dei parti che abbiamo registrato contro il 5% registrato al Sant’Anna), il cesareo è stato effettuato in 29 casi, di cui 9 d’urgenza. 2 donne hanno avuto perdite ematiche in seguito a cesareo d’urgenza tali da giustificare il ricorso a trasfusione di sangue intero. Abbiamo osservato che la diagnosi di emofilia nota per il feto non cambia in realtà la condotta del parto (p=0,573), mentre abbiamo osservato un’associazione statisticamente significativa (p=0,022) tra parto cesareo e gravità severa della malattia. Ci sono stati 2 cefaloematomi (3,4%) in seguito a parto vaginale naturale e 0 sanguinamenti intracranici, mentre, per quando riguarda i sanguinamenti minori, abbiamo registrato 7 emorragie in sede di prelievo (11,9%). Non è stata osservata tuttavia una differenza statisticamente significativa per il cefaloematoma tra parto cesareo e parto vaginale (p=0,491). In 3 casi è stato necessario trattare l’emorragia con infusione di concentrato di fattore VIII.
Esperienza real-world sul management del parto in un'ampia coorte di carriers di emofilia: focus sull'outcome materno e neonatale
SPANO, NICCOLÒ
2020/2021
Abstract
Il dibattito su quale sia la metodica ideale di parto da scegliere nelle donne carrier di emofilia è ancora aperto. La scelta deve essere ponderata sulla base del rischio materno e del neonato di presentare complicanze. Il nostro è uno studio retrospettivo monocentrico il cui obiettivo è quello di fornire la nostra esperienza per arricchire la letteratura esistente. Per studiare la nostra coorte abbiamo raccolto dati in merito all’anamnesi famigliare per patologia emorragica, alla diagnosi prenatale, al tipo di parto e ai sanguinamenti nel bambino e nella carrier nel periparto. Abbiamo indagato anche altre variabili inerenti all’approccio al neonato, tra cui la modalità di somministrazione della vitamina K e l’utilizzo di ecografia transcranica, di TC encefalo o di RM encefalo. Per raccogliere i dati ci siamo serviti delle cartelle cliniche presenti sul sistema informatico TrackCare di Città della Salute e della Scienza e abbiamo anche intervistato direttamente le pazienti mediante colloquio telefonico. Per l’analisi dei dati abbiamo usato il software statistico Stata/SE 16.1 (StataCorp, College Station, Texas, USA). Il campione preso in esame comprende una coorte consecutiva di 59 bambini nati tra il 1999 ed il 2020 affetti da emofilia A o B di tutti i gradi di severità (32 gravi, 10 moderati, 17 lievi) e di 53 donne carrier. La diagnosi prenatale per l’emofilia è stata eseguita in 11 casi, mentre in 7 casi è stato registrato un sospetto diagnostico su base anamnestica famigliare non indagato. In nessuna delle carrier in cui la diagnosi del feto è stata confermata è stata scelta l’interruzione volontaria di gravidanza. I casi indicati come sporadici sono stati 34, quelli famigliari 25. Il parto vaginale naturale è stato effettuato in 29 casi, di cui 2 sono stati indotti e 1 strumentale con ventosa (1,7% dei parti che abbiamo registrato contro il 5% registrato al Sant’Anna), il cesareo è stato effettuato in 29 casi, di cui 9 d’urgenza. 2 donne hanno avuto perdite ematiche in seguito a cesareo d’urgenza tali da giustificare il ricorso a trasfusione di sangue intero. Abbiamo osservato che la diagnosi di emofilia nota per il feto non cambia in realtà la condotta del parto (p=0,573), mentre abbiamo osservato un’associazione statisticamente significativa (p=0,022) tra parto cesareo e gravità severa della malattia. Ci sono stati 2 cefaloematomi (3,4%) in seguito a parto vaginale naturale e 0 sanguinamenti intracranici, mentre, per quando riguarda i sanguinamenti minori, abbiamo registrato 7 emorragie in sede di prelievo (11,9%). Non è stata osservata tuttavia una differenza statisticamente significativa per il cefaloematoma tra parto cesareo e parto vaginale (p=0,491). In 3 casi è stato necessario trattare l’emorragia con infusione di concentrato di fattore VIII.File | Dimensione | Formato | |
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