Nei procedimenti giudiziari avverso autori di crimini internazionali, determinare la responsabilità penale di colui che agisce dietro ordine di un superiore gerarchico risulta assai arduo e complesso. Se chiamato ad operare in strutture fortemente gerarchizzate, il subordinato risulta infatti perennemente sottoposto a pressioni psico-fisiche capaci di alterare volizione e discernimento nell'esecuzione di ordini imposti dall'alto. Dapprima gli ordinamenti giuridici nazionali ed in seguito i tribunali internazionali hanno dunque elaborato risposte normative dimostratisi variabili a seconda delle esigenze di politica criminale. Inoltre, nel tentativo di dare coerenza al quadro giuridico globale, la materia in esame ha costituito oggetto di raccordo con discipline correlate quali la responsabilità del superiore, l'affiliazione ad organizzazioni criminali e la commissione di crimini sotto coercizione o per effetto di errore. L'obiettivo di questo studio è ripercorrere l'evoluzione cronologica della defence dell'ordine del superiore gerarchico nel diritto penale internazionale, con un particolare riguardo alla mutevolezza del suo ambito di applicazione in ragione delle contingenze storiche. L'analisi di fonti sostanziali e giurisprudenziali internazionali seguirà un'attenta disamina circa le più rilevanti trattazioni domestiche dell'istituto, in coerenza con una linea logico-temporale culminata nel consolidamento di una specifica norma consuetudinaria di diritto internazionale annoverata tra i Principi di Norimberga. Presso i Tribunali Militari Internazionali e nel corso dei subsequent proceedings, tale principio troverà una confusa e controversa applicazione giudiziaria, risultato di dichiarate esigenze di politica criminale piuttosto che di ragioni di equità processuale. Qualche decennio più tardi, l'interpretazione disqualificante per mano dal Tribunale Penale Internazionale per l'Ex Iugoslavia indurrà gli autori dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale, ad assegnare maggior coerenza ed adeguatezza al contesto normativo ove la defence è inserita, in aggiunta a riaffermarne l'autonomia sconfessata in via di prassi nella nota sentenza Erdèmovic. Inoltre, le più tradizionali teorie giuridiche sull'obbedienza al superiore gerarchico rifiutano di prendere in considerazione elementi soggettivi quali la mens rea di colui che obbedisce. Al contrario, i più recenti indirizzi di diritto penale internazionale identificano l'esistenza di un ordine impartito da un superiore gerarchico quale fattore rilevante in sede di accertamento della mens rea del subordinato accusato di crimini internazionali. L'indagine quindi riguarderà il rapporto sussistente tra i principali motivi di esclusione della responsabilità penale internazionale al fine di comprendere il grado di incisività dell'ordine sulla psiche di chi, eseguendolo, commette un'azione criminosa. Nel far ciò, la condivisione dell'intento criminoso tramite affiliazione ad una organizzazione criminale o tramite partecipazione ad una joint criminal enterprise non può essere trascurata. Lo studio contrasta il rigido e confuso orientamento delle passate esperienze giuridiche internazionali in favore di un approccio più olistico, capace di assicurare all'imputato una valutazione della sua colpevolezza più equa e trasversale, evitandone così la metamorfosi da presunto carnefice ad indubbia vittima di espedienti politici.
Evoluzione ed ambito di applicazione dell'esimente dell'ordine del superiore gerarchico nel diritto penale internazionale
BONANNO, ALESSANDRO
2018/2019
Abstract
Nei procedimenti giudiziari avverso autori di crimini internazionali, determinare la responsabilità penale di colui che agisce dietro ordine di un superiore gerarchico risulta assai arduo e complesso. Se chiamato ad operare in strutture fortemente gerarchizzate, il subordinato risulta infatti perennemente sottoposto a pressioni psico-fisiche capaci di alterare volizione e discernimento nell'esecuzione di ordini imposti dall'alto. Dapprima gli ordinamenti giuridici nazionali ed in seguito i tribunali internazionali hanno dunque elaborato risposte normative dimostratisi variabili a seconda delle esigenze di politica criminale. Inoltre, nel tentativo di dare coerenza al quadro giuridico globale, la materia in esame ha costituito oggetto di raccordo con discipline correlate quali la responsabilità del superiore, l'affiliazione ad organizzazioni criminali e la commissione di crimini sotto coercizione o per effetto di errore. L'obiettivo di questo studio è ripercorrere l'evoluzione cronologica della defence dell'ordine del superiore gerarchico nel diritto penale internazionale, con un particolare riguardo alla mutevolezza del suo ambito di applicazione in ragione delle contingenze storiche. L'analisi di fonti sostanziali e giurisprudenziali internazionali seguirà un'attenta disamina circa le più rilevanti trattazioni domestiche dell'istituto, in coerenza con una linea logico-temporale culminata nel consolidamento di una specifica norma consuetudinaria di diritto internazionale annoverata tra i Principi di Norimberga. Presso i Tribunali Militari Internazionali e nel corso dei subsequent proceedings, tale principio troverà una confusa e controversa applicazione giudiziaria, risultato di dichiarate esigenze di politica criminale piuttosto che di ragioni di equità processuale. Qualche decennio più tardi, l'interpretazione disqualificante per mano dal Tribunale Penale Internazionale per l'Ex Iugoslavia indurrà gli autori dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale, ad assegnare maggior coerenza ed adeguatezza al contesto normativo ove la defence è inserita, in aggiunta a riaffermarne l'autonomia sconfessata in via di prassi nella nota sentenza Erdèmovic. Inoltre, le più tradizionali teorie giuridiche sull'obbedienza al superiore gerarchico rifiutano di prendere in considerazione elementi soggettivi quali la mens rea di colui che obbedisce. Al contrario, i più recenti indirizzi di diritto penale internazionale identificano l'esistenza di un ordine impartito da un superiore gerarchico quale fattore rilevante in sede di accertamento della mens rea del subordinato accusato di crimini internazionali. L'indagine quindi riguarderà il rapporto sussistente tra i principali motivi di esclusione della responsabilità penale internazionale al fine di comprendere il grado di incisività dell'ordine sulla psiche di chi, eseguendolo, commette un'azione criminosa. Nel far ciò, la condivisione dell'intento criminoso tramite affiliazione ad una organizzazione criminale o tramite partecipazione ad una joint criminal enterprise non può essere trascurata. Lo studio contrasta il rigido e confuso orientamento delle passate esperienze giuridiche internazionali in favore di un approccio più olistico, capace di assicurare all'imputato una valutazione della sua colpevolezza più equa e trasversale, evitandone così la metamorfosi da presunto carnefice ad indubbia vittima di espedienti politici.File | Dimensione | Formato | |
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