Il presente lavoro di ricerca ha ad oggetto il patto di non concorrenza disciplinato all'articolo 2125 del codice civile. Si tratta di una pattuizione accessoria al contratto di lavoro con la quale il datore di lavoro limita, per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, lo svolgimento di attività concorrenziale da parte del lavoratore. Il legislatore tutela il diritto di lavoro, costituzionalmente garantito, del lavoratore subordinato prevedendo alcuni requisiti a pena di nullità del patto de quo: il corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e precisi limiti di forma, di oggetto, di territorio e di durata. Nell'ambito del mercato moderno di lavoro, che pone alle proprie basi la libera concorrenza tra le imprese, la disciplina del patto limitativo della concorrenza è stata oggetto di vivaci interpretazioni da parte della giurisprudenza. Le imprese hanno, sempre più, un forte interesse ad evitare l'eventuale diffondersi del know how aziendale e cioè, prendendo a prestito la definizione del legislatore europeo, di quel «patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e prove» . Tale patrimonio, infatti, ha un innegabile valore aziendale ed è, spesso, il risultato di corposi investimenti in ricerche, studi e tecnologie effettuati in anni di attività . Al contempo i lavoratori hanno il diritto di ricercare nuove opportunità di lavoro e di utilizzare il proprio bagaglio professionale presso una nuova impresa, datrice di lavoro. Il presente lavoro di ricerca si suddivide in tre capitoli ed esamina come il legislatore prima, la giurisprudenza poi, abbiano contemperato questi due ordini di interessi, e i contestuali diritti che ne scaturiscono, tutelando l'uno senza comprimere eccessivamente l'altro. Più nel dettaglio, il primo capitolo si concentra sull'analisi dei requisiti di validità del patto di non concorrenza imposti dal legislatore che, come detto, vengono vagliati dalla più vigorosa giurisprudenza la quale in più occasioni, anche di recente, è giunta ad affermare l'invalidità del patto. Nel secondo capitolo vengono illustrati i profili di maggiore criticità e l'ammissibilità delle clausole più frequentemente utilizzate nella prassi contrattuale. In primo luogo, vengono in evidenza il patto di opzione e il recesso unilaterale previsti, rispettivamente, agli articoli 1331 e 1373 del codice civile. In merito l'analisi si sofferma sulla compatibilità di tali strumenti contrattuali con il patto di non concorrenza al fine di escludere la sussistenza di uno squilibrio degli interessi delle parti. Altri espedienti contrattuali analizzati, quali clausole accessorie al patto di non concorrenza, sono la previsione di un obbligo di comunicazione del nuovo impiego e di una clausola penale nel caso di violazione di detto obbligo o del patto limitativo della concorrenza. L'ultimo capitolo della trattazione è dedicato ad una disamina delle vicende successive alla stipulazione del patto di non concorrenza. Dopo aver evidenziato gli aspetti più rilevanti e le conseguenze di una declaratoria di nullità del patto di non concorrenza, l'analisi si è concentrata maggiormente sulle ipotesi di inadempimento del datore di lavoro e del prestatore di lavoro. In particolare, in quest'ultimo caso sono stati presi in esame i rimedi che l'ex datore di lavoro può esercitare nei confronti del lavoratore che abbia violato il patto di non concorrenza.

Il patto di non concorrenza

MASTRODONATO, ELENA
2018/2019

Abstract

Il presente lavoro di ricerca ha ad oggetto il patto di non concorrenza disciplinato all'articolo 2125 del codice civile. Si tratta di una pattuizione accessoria al contratto di lavoro con la quale il datore di lavoro limita, per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, lo svolgimento di attività concorrenziale da parte del lavoratore. Il legislatore tutela il diritto di lavoro, costituzionalmente garantito, del lavoratore subordinato prevedendo alcuni requisiti a pena di nullità del patto de quo: il corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e precisi limiti di forma, di oggetto, di territorio e di durata. Nell'ambito del mercato moderno di lavoro, che pone alle proprie basi la libera concorrenza tra le imprese, la disciplina del patto limitativo della concorrenza è stata oggetto di vivaci interpretazioni da parte della giurisprudenza. Le imprese hanno, sempre più, un forte interesse ad evitare l'eventuale diffondersi del know how aziendale e cioè, prendendo a prestito la definizione del legislatore europeo, di quel «patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e prove» . Tale patrimonio, infatti, ha un innegabile valore aziendale ed è, spesso, il risultato di corposi investimenti in ricerche, studi e tecnologie effettuati in anni di attività . Al contempo i lavoratori hanno il diritto di ricercare nuove opportunità di lavoro e di utilizzare il proprio bagaglio professionale presso una nuova impresa, datrice di lavoro. Il presente lavoro di ricerca si suddivide in tre capitoli ed esamina come il legislatore prima, la giurisprudenza poi, abbiano contemperato questi due ordini di interessi, e i contestuali diritti che ne scaturiscono, tutelando l'uno senza comprimere eccessivamente l'altro. Più nel dettaglio, il primo capitolo si concentra sull'analisi dei requisiti di validità del patto di non concorrenza imposti dal legislatore che, come detto, vengono vagliati dalla più vigorosa giurisprudenza la quale in più occasioni, anche di recente, è giunta ad affermare l'invalidità del patto. Nel secondo capitolo vengono illustrati i profili di maggiore criticità e l'ammissibilità delle clausole più frequentemente utilizzate nella prassi contrattuale. In primo luogo, vengono in evidenza il patto di opzione e il recesso unilaterale previsti, rispettivamente, agli articoli 1331 e 1373 del codice civile. In merito l'analisi si sofferma sulla compatibilità di tali strumenti contrattuali con il patto di non concorrenza al fine di escludere la sussistenza di uno squilibrio degli interessi delle parti. Altri espedienti contrattuali analizzati, quali clausole accessorie al patto di non concorrenza, sono la previsione di un obbligo di comunicazione del nuovo impiego e di una clausola penale nel caso di violazione di detto obbligo o del patto limitativo della concorrenza. L'ultimo capitolo della trattazione è dedicato ad una disamina delle vicende successive alla stipulazione del patto di non concorrenza. Dopo aver evidenziato gli aspetti più rilevanti e le conseguenze di una declaratoria di nullità del patto di non concorrenza, l'analisi si è concentrata maggiormente sulle ipotesi di inadempimento del datore di lavoro e del prestatore di lavoro. In particolare, in quest'ultimo caso sono stati presi in esame i rimedi che l'ex datore di lavoro può esercitare nei confronti del lavoratore che abbia violato il patto di non concorrenza.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/100940