A partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, la progressiva vanificazione degli equilibri politici internazionali legati alla Guerra fredda è stata la causa principale del ritorno in Europa della «questione nazionale». Questo ritorno delle appartenenze collettive nazionali ha stimolato un'ampia riflessione politico-culturale all'interno della quale si sono delineate posizioni alternative. La prima è quella di coloro che nel mondo globalizzato, caratterizzato dall'interdipendenza politica e da un'integrazione socioculturale crescente, considerano la nazione obsoleta. La seconda posizione, invece, è quella di coloro che hanno visto nel sentimento e nelle appartenenze nazionali una ridefinizione dei contorni politico-istituzionali e concettuali della nazione. Questa rinnovata attenzione alla dimensione della nazionalità ha assunto contenuti differenti in funzione dei contesti culturali e politici. In questo senso, a dispetto di ogni previsione relativa alla scomparsa dello Stato nazionale, esso continua a giocare un ruolo tutt'altro che secondario. Una delle principali scuole delle teorie della nazione e del nazionalismo è definita «modernista». Essa sostiene che la nazione è un fenomeno moderno, apparso negli ultimi due secoli come prodotto dei processi di trasformazione in ambito economico, politico e socioculturale. Secondo uno dei principali fautori di questa scuola, Eric J. Hobsbawm, il nazionalismo è stato una «potente forza storica» che ha influenzato su scala globale il mondo moderno a partire dal XVIII secolo fino alla seconda metà del Novecento. Nel contesto storico del XIX e dei primi anni del XX secolo i nazionalismi sono definiti da Hobsbawm come «uno dei motori più potenti che ha influenzato il mondo moderno su scala globale». Tuttavia, alla fine del Novecento essi diventano attori storici obsoleti, in contrasto con il ruolo trainante e di prima importanza dello sviluppo storico delle fasi precedenti. La causa che ha decretato la fine del nazionalismo è l'avvento del mondo globale. Innanzitutto, l'esito del secondo conflitto mondiale coincide con la fine di un «mondo di Stati». Il sistema bipolare, organizzato attorno al conflitto ideologico piuttosto che nazionale, gira intorno alle due superpotenze e ai loro Stati allineati. A partire dagli anni Sessanta, si assiste ad una messa in discussione e ad un ridimensionamento delle «economie nazionali». Con il tramonto dell'Urss come superpotenza si conclude il sistema bipolare. Le nazioni e il nazionalismo continueranno ad essere presenti nel quadro delle relazioni internazionali, ma in funzione subordinata e secondaria. Secondo la prospettiva adottata dai fautori dell'approccio «etnico-simbolico», in particolare da Anthony D. Smith, la comparsa delle nazioni contemporanee è, invece, avvenuta a partire da comunità entiche preesistenti, intese come nuclei etnico-territoriali coesi da un'identità collettiva formata in epoca premoderna. Cosi intesa, la comunità etnica costituisce la radice della nazione. Smith contesta sistematicamente il riduzionismo sottostante alla concezione della nazione come fenomeno artificiale, costruita dalle diverse élites al potere. Non si possono comprendere le nazioni e il nazionalismo semplicemente come ideologie o come mere forme della politica. Pertanto, gli attuali nazionalismi non derivano «tanto dai bisogni del capitalismo o degli Stati moderni», come diceva E. J. Hobsbawm, quanto «da più antiche forme di memoria collettiva, simboli, miti e
Eric J. Hobsbawm e Anthony D. Smith: due modi di pensare il nazionalismo
MARTELLA, MARTA
2018/2019
Abstract
A partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, la progressiva vanificazione degli equilibri politici internazionali legati alla Guerra fredda è stata la causa principale del ritorno in Europa della «questione nazionale». Questo ritorno delle appartenenze collettive nazionali ha stimolato un'ampia riflessione politico-culturale all'interno della quale si sono delineate posizioni alternative. La prima è quella di coloro che nel mondo globalizzato, caratterizzato dall'interdipendenza politica e da un'integrazione socioculturale crescente, considerano la nazione obsoleta. La seconda posizione, invece, è quella di coloro che hanno visto nel sentimento e nelle appartenenze nazionali una ridefinizione dei contorni politico-istituzionali e concettuali della nazione. Questa rinnovata attenzione alla dimensione della nazionalità ha assunto contenuti differenti in funzione dei contesti culturali e politici. In questo senso, a dispetto di ogni previsione relativa alla scomparsa dello Stato nazionale, esso continua a giocare un ruolo tutt'altro che secondario. Una delle principali scuole delle teorie della nazione e del nazionalismo è definita «modernista». Essa sostiene che la nazione è un fenomeno moderno, apparso negli ultimi due secoli come prodotto dei processi di trasformazione in ambito economico, politico e socioculturale. Secondo uno dei principali fautori di questa scuola, Eric J. Hobsbawm, il nazionalismo è stato una «potente forza storica» che ha influenzato su scala globale il mondo moderno a partire dal XVIII secolo fino alla seconda metà del Novecento. Nel contesto storico del XIX e dei primi anni del XX secolo i nazionalismi sono definiti da Hobsbawm come «uno dei motori più potenti che ha influenzato il mondo moderno su scala globale». Tuttavia, alla fine del Novecento essi diventano attori storici obsoleti, in contrasto con il ruolo trainante e di prima importanza dello sviluppo storico delle fasi precedenti. La causa che ha decretato la fine del nazionalismo è l'avvento del mondo globale. Innanzitutto, l'esito del secondo conflitto mondiale coincide con la fine di un «mondo di Stati». Il sistema bipolare, organizzato attorno al conflitto ideologico piuttosto che nazionale, gira intorno alle due superpotenze e ai loro Stati allineati. A partire dagli anni Sessanta, si assiste ad una messa in discussione e ad un ridimensionamento delle «economie nazionali». Con il tramonto dell'Urss come superpotenza si conclude il sistema bipolare. Le nazioni e il nazionalismo continueranno ad essere presenti nel quadro delle relazioni internazionali, ma in funzione subordinata e secondaria. Secondo la prospettiva adottata dai fautori dell'approccio «etnico-simbolico», in particolare da Anthony D. Smith, la comparsa delle nazioni contemporanee è, invece, avvenuta a partire da comunità entiche preesistenti, intese come nuclei etnico-territoriali coesi da un'identità collettiva formata in epoca premoderna. Cosi intesa, la comunità etnica costituisce la radice della nazione. Smith contesta sistematicamente il riduzionismo sottostante alla concezione della nazione come fenomeno artificiale, costruita dalle diverse élites al potere. Non si possono comprendere le nazioni e il nazionalismo semplicemente come ideologie o come mere forme della politica. Pertanto, gli attuali nazionalismi non derivano «tanto dai bisogni del capitalismo o degli Stati moderni», come diceva E. J. Hobsbawm, quanto «da più antiche forme di memoria collettiva, simboli, miti eFile | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
739324_martella-tesidilaurea.pdf
non disponibili
Tipologia:
Altro materiale allegato
Dimensione
730.05 kB
Formato
Adobe PDF
|
730.05 kB | Adobe PDF |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14240/100475