Nell'agosto del 2014, lo Stato Islamico invase il Sinjar, una provincia a nord dell'Iraq, molto vicina a Mosul, e area storicamente abitata dalla comunità minoritaria yazida. In brevissimo tempo, la maggior parte della popolazione venne giustiziata o rapita, e le donne della comunità, dopo ripetuti abusi, furono vendute come schiave sessuali. L'Occidente condannò l'accaduto facendo riferimento a discorsi tipicamente orientalisti, interpretando la brutalità come un sintomo di arretratezza e sottosviluppo, "innata", per questo motivo, ad un gruppo terrorista mediorientale. Senza voler screditare l'effettiva violenza avvenuta, il mio lavoro di ricerca si propone di offrire una lettura alternativa degli eventi, ascrivendoli invece ad un panorama ben più complesso, in cui problemi di fragilità dello Stato centrale iracheno e incapacità di provvedere alla sicurezza umana dei cittadini si sono intersecati alla costruzione di mascolinità e violenza in chiave marcatamente 'fratriarcale', propria dello Stato Islamico. Lo scopo ultimo del mio lavoro è quello di riconoscere la rilevanza di una prospettiva di genere nelle scienze sociali e nelle relazioni internazionali, con l'obiettivo di riconoscere l'agency di ogni soggetto coinvolto in un grande evento politico e le implicazioni che esso può avere sulla sua esperienza personale. In questo caso particolare, un ulteriore tentativo è quello di discernere e riconoscere pienamente l'esperienza delle donne yazide, non relegandole al solo ruolo di vittime.
In August 2014, the Islamic State invaded the Sinjar province in northern Iraq, a historical area home of the ethnic and religious minority of Yazidi. The majority of the population was executed, deported or forced to convert to Islam, whilst the girls and women belonging to the community were kidnapped and repeatedly assaulted, before being sold as sexual slaves. The brutal violence was quickly condemned by the West as cruel, sexist and a symptom of backwardness and underdevelopment, from a distinctly Orientalist perspective. Without meaning to discredit the actual violence that occurred, my research suggests an alternative reading of the events, in which issues of fragility of the central Iraqi state and its incapacity to provide for the human security of the citizens have intersected with a construction of violence and masculinity in a markedly 'fratriarchal' manner, as it was for the Islamic State. The ultimate purpose of my work is to recognise the relevance of a gendered perspective in the social sciences and in international relations, aiming to acknowledge the agency of any subject involved in a major political event and the implications it may have on their personal experience. In this particular case, a further attempt could be made to fully discern and acknowledge the Yazidi women experience, without relegating it only to the role of victims.