In tutti i moderni ordinamenti processuali sono presenti, in qualche misura, norme e istituti finalizzati ad evitare che le parti pongano in essere comportamenti fraudolenti nell’ambito della controversia, ovvero, se ciò non si rivela possibile, a porvi rimedio. L’obiettivo del presente elaborato è quello di analizzare le forme di manifestazione di maggior rilievo dell’inganno e della frode nel processo civile italiano, i principali rimedi processuali ed i problemi interpretativi connessi.
L’indagine prenderà le mosse dal dovere di lealtà e probità processuale di cui all’art. 88 del Codice di procedura civile: a partire dalla dottrina che se ne è occupata, di tale norma si cercherà di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata in accordo con le sue modalità operative e con le sue possibili sanzioni all’interno del giudizio civile. L’analisi proseguirà focalizzandosi sui rimedi alla frode processuale, a partire dalla revocazione della sentenza viziata dal dolo di una delle parti in danno dell’altra (art. 395, n. 1, c.p.c.), cui seguiranno la revocazione del Pubblico Ministero avverso la sentenza ottenuta dalle parti in frode alla legge (art. 397, n. 2, c.p.c.), l’opposizione revocatoria del terzo nei confronti della sentenza viziata da dolo o collusione in suo danno (art. 404 comma 2 c.p.c.), l’art. 2929 c.c., che dà rilievo alla collusione nell’ambito del processo esecutivo, ed infine la forma di revocazione speciale introdotta dalla novella del 2019 in tema di class action, che tutela l’aderente dalla collusione delle altre parti (art. 840-decies, c.p.c.). L’unitarietà teleologica di questi istituti non può essere messa in discussione: essi rispondono tutti alla comune finalità di concedere al soggetto danneggiato (o al Pubblico Ministero, nel caso in cui siano violate norme imperative di legge) un mezzo per rimuovere il prodotto dell’inganno perpetrato a loro danno o diretto a frodare la legge. Tuttavia, nel nostro ordinamento è presente anche un’importante eccezione alla volontà di prevenire e sanzionare i comportamenti processuali scorretti: il capitolo conclusivo dell’elaborato verterà, infatti, sull’art. 2738 del Codice civile, che conferisce una particolare e unica stabilità – la quale, prima facie, non ammette eccezioni – alla sentenza basata su un giuramento poi dichiarato falso, con l’obiettivo di analizzare i motivi della presenza nel nostro sistema processuale di tale norma, ed eventualmente come tutelare i soggetti che ne vengano danneggiati, concludendo con il tentativo di ridimensionare la speciale efficacia probatoria del giuramento falso, a tutela dei terzi estranei al processo.
L’elaborato mira, nel suo complesso, a sottolineare e giustificare una recente tendenza al rafforzamento degli strumenti diretti a contrastare i comportamenti processuali scorretti o abusivi, che si è manifestata tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, mostrando sempre più un atteggiamento positivo in relazione al rafforzamento della tutela contro i casi di mala fede processuale.