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Il carcinoma epatocellulare è la terza causa di morte correlata a neoplasia e la prima per i pazienti cirrotici. Il trattamento di questa patologia è complicata dalla frequente diagnosi tardiva, che rende impraticabili le operazioni chirurgiche di resezione e trapianto, e limita la scelta alla chemioterapia sistemica. Tuttavia l'epatocarcinoma è un tumore chemioresistente. Nel corso degli ultimi anni, la crescente conoscenza delle vie che regolano l'insorgenza e la progressione neoplastica e l'acquisizione di informazioni biomolecolari sulle alterazioni dei segnali proliferativi nelle cellule neoplastiche hanno portato allo sviluppo di farmaci selettivi che hanno dimostrato una notevole efficacia. Il sorafenib è un inibitore multichinasico che da una parte agisce sui recettori di VEGF e PDGF e altre chinasi, dall' altra parte invece agisce sul pathway di Raf/ MEK/ERK che conferisce la duplice funzione di inibire la proliferazione cellulare e la neovascolarizzazione. Questo è il primo farmaco sistemico nella sua categoria ed anche l'unico ad aver registrato un incremento significativo, per quantità e qualità, nella sopravvivenza dei pazienti. Altro punto di forza del sorafenib è che sia attivo per via orale, limitando così l'invasività della somministrazione e aumentando la compliance del paziente senza costringerlo all'ospedalizzazione. Nel 2007 il sorafenib è stato immesso in commercio in Europa, le indicazioni riconosciute sono il carcinoma epatocellulare e il carcinoma a cellule renali in stato avanzato.
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