Cos'è lo spazio nel cinema? La risposta, per chi considera la settima arte il regno della finzione, potrebbe essere una scenografia, chi invece vede il cinema come la realtà ventiquattro volte al secondo direbbe che forse tutto è lo spazio del cinema. Potrebbe esserci chi invece considera questo elemento come un fatto puramente mentale, il campo viene completato dall'allusione di un fuori campo creando uno spazio percepibile a noi non reale; c'è anche chi lo considera in relazione al tempo, e quindi nell'articolazione tra scene e sequenze, nel quale la contiguità tra gli assi fa in modo che questi esistano.
Il tema di quest'analisi forse comprende tutte queste risposte ma anche nessuna, perché se è vero che i parametri con cui cercheremo di parlare dello spazio sono appunto: finzione e realtà, sequenzialità e aspettativa spettatoriale, tempo e luogo, quelle risposte però non trovano mai il vero centro del nostro discorso perché tutti questi elementi si legano e si scontrano per generare esempi limite, soprattutto per ciò che riguarda la narrazione e la significazione della stessa.
Studio che accosta la serie Tv Mad Men e l'opera di Edward Hopper, nel quale l'iconosfera di riferimento dei fifties statunitensi è luogo di riverbero per gli autori e lo spettatore, cogliendo nei silenzi e nella composizione della messa in quadro echi primariamente narrativi. Sospensione del racconto e stasi non legati solamente alla relazione esistente nei personaggi ma anche al significato che uno sguardo iconosferico ha nei confronti del rappresentato
Successivamente si cerca di osservare il ruolo che il genere ha all'interno nella creazione di uno spazio invasivo paritario tra il realizzatore e lo spettatore, l'horror nella sollecitudine di luoghi e figure, definite archetipiche (il bosco e la strega), divengono punto focale nel condizionamento emotivo di chi osserva e vive gli spazi. Confronto diretto con l'ignoto e la proliferazione delle possibilità narrative che scaturiscono da una semiosfera nella quale nulla è certo. Il secondo capitolo vede al centro una riflessione riguardo ai mockumentary orrorifici, in particolar modo The Blair witch project, e in segno opposto di una pellicola dalle forte impostazione autoriale come Hotel di Jessica Hausner.
Freddezza ed emotività esposta divengono il trait d'union anche con il terzo capitolo che vede l'accostamento e lo scontro tra due autori che fanno collassare la rigida composizione tra spazio e tempo come lo sono David Lynch e Terrence Malick. Luoghi che perdono un'identità temporale come allo stesso modo le situazioni narrative create dai due registi statunitensi fanno in modo che lo spettatore sia straniato per esser collocato all'interno di un continuum audiovisivo che volutamente rinnega l'individuazione di una stratificazione del significato per esser colto nella sua più pura percezione agli avvenimenti. Tra l'assurdo e l'estasi emotiva.