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La dicotomia proposta da d'Agostino nel 1985, ¿Società dei vivi, comunità dei morti¿, si è configurata come il punto di partenza della mia indagine. L'incontro tra il mondo dei vivi e quello dei morti è stato una costante nell' approccio al tema di uno studio che vuole tratteggiarne la storia, definirne la scena, proporne una riflessione, studiarne il linguaggio. Un linguaggio che giunge a noi mutilato, da comprendere attraverso la lettura e l'esplorazione dai segni del contesto funerario. Con quale approccio metodologico bisogna muoversi in archeologia, come si definisce un contesto funerario? Senza alcuna pretesa di esaustività , ho tentato di definire un modello interpretativo sul problema dell'indagine nel campo dell' Archaeology of Death. Il lavoro è diviso in tre parti, che seguono un unico filo conduttore, ravvisabile nella necessità di un approccio interdisciplinare soprattutto tra l' archeologia e l'antropologia (sia fisica che culturale) per una lettura d'insieme degli aspetti deducibili da una necropoli o da un cimitero. La prima tappa dell'itinerario è stata quella di delineare l' avvicinamento teorico all' archeologia della morte avvenuto nel XX secolo, da parte di studiosi anglosassoni, francesi e italiani, scaturita dalla consapevolezza che il contesto funerario costituisse un campione privilegiato per la conoscenza dell'organizzazione sociale di una comunità. La nascente archeologia processuale, il cui precursore è L.R. Binford, tentò di dimostrare come la totalità delle pratiche attorno alla morte, adottate dalla società indagata, rappresentassero un riflesso del mondo dei vivi, attraverso una stretta analogia tra la variabilità funeraria e la complessità organizzativa di una determinata comunità. Approccio considerato rigidamente nomotetico e quantitativo verso gli anni '80 del Novecento1, quando questo tipo di corrispondenza venne sentita come un limite, una generalizzazione semplicistica. Alcuni archeologi post-processualisti, tra cui I. Hodder, sostennero, infatti, la necessità di dare importanza alla dimensione simbolica e ideologica del dato archeologico. Per esempio, non sempre una sepoltura senza corredo deve necessariamente essere collegata a soggetti di un ceto sociale inferiore, poiché essa può essere motivata da ideologie funerarie differenti dalle nostre e ravvisabili solo attraverso uno studio contestuale ed interdisciplinare. Sono oggetto del secondo capitolo una disamina sulle diverse tipologie di trattamento del corpo, di deposizione del defunto e di corredo funerario, nonché un' esposizione di carattere metodologico sullo scavo, nella specificità dell'ambito funerario e oggetto del secondo capitolo. Per completezza, ho evidenziato l'importante contributo offerto alla disciplina archeologica dalla paleoantropologia poiché , attraverso lo studio delle caratteristiche biologiche di resti scheletrici provenienti da sepolture, emergono informazioni importanti utili ai fini di un'interpretazione più esaustiva. Dunque, i dati relativi alle analisi antropologiche possono, a vario livello, costituire un nuovo contributo alla disciplina archeologica attraverso un confronto interdisciplinare che, al di là delle differenze, offre maggiori possibilità interpretative del campione indagato. Un contesto funerario dà spesso origine a un dibattito che probabilmente non finirà mai. Che cos'è, infatti, una riflessione sulla morte, sul valore sociale delle sepolture, se non una riflessione sulla vita?
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