Urbino. Galleria Nazionale delle Marche. Nell'Appartamento della Jole,
al piano nobile, troviamo esposti dipinti e sculture del primo
Rinascimento. La visita prosegue nell'Appartamento dei Melaranci, uno
scrigno colmo di preziose pitture del Trecento, marchigiane e
riminesi. Ma a dividere le due sezioni vi è un'alta e angusta
intercapedine: la Sala del Passaggio, nome quanto mai adatto a rendere
l'essenza di questa stanza. Anche il visitatore più sprovveduto e
frettoloso è folgorato da questo ambiente, dal contrasto tra
allestimento e opera esposta.
La Sala del Passaggio ospita due affreschi provenienti dall'abbazia di
San Biagio in Caprile, sita nella località fabrianese di Campodonico.
Ci troviamo di fronte ad una delle ¿alte cime¿ della pittura
trecentesca: l'anonimo Maestro di Campodonico.
Scossi dalla grandezza di questo artista, il primo pensiero è di
disapprovazione per l'allestimento della sua opera. Ad una seconda
riflessione però, colpisce l'affinità tra sala e pittore: come la Sala
del Passaggio non appartiene né all'Appartamento della Jole né a
quello dei Melaranci, non accoglie i riverberi del primo né si estende
nel secondo; così il Maestro di Campodonico nella storia dell'arte
marchigiana, un pittore senza precedenti e senza epigoni.
Lo storico, che dallo studio della civiltà artistica del Duecento
passa a quella dell'età immediatamente successiva, ha l'impressione di
assistere a un'improvvisa dilatazione e complicazione dell'oggetto
della sua indagine. Il quale, se prima tendeva di tanto in tanto a
raccogliersi e coordinarsi in alcuni temi essenziali e coerenti nel
loro svolgimento e nei loro rapporti, nel Trecento sembra ramificarsi
in una molteplicità di direzioni, in una varietà che è, a un tempo,
ricchezza e confusione.
La presenza stessa di alcune grandi personalità evidenzia, nel giro di
poche generazioni, il contrasto talora violento ¿ almeno ai nostri
occhi ¿ degli stili, delle poetiche, del gusto e della sensibilità; e
lascia intravedere la vastità e l'importanza delle esperienze minori e
collaterali, assai ramificate, su cui quella presenza agisce
arricchendole e variandole di continuo, senza esaurirle o riassumerle
in se stessa.
Intorno a queste figure di primo piano ¿ Giotto, Simone Martini, i
Lorenzetti ¿ operano e fermentano ingegni e opere, dai più alti ai più
bassi: segno di una straordinaria vivacità ed irrequietezza diffusa.
In tal senso il Maestro di Campodonico è figlio del suo tempo. Nelle
sue opere ritroviamo l'intrecciarsi e il mescolarsi di elementi
antichi e nuovi, di atteggiamenti medievali e umanistici, aspetto
tipico del Trecento; mentre il nuovo affiora in spunti ancora informi
e incerti e il vecchio si regge con la forza di una tradizione secolare.
Nel primo capitolo ho tracciato lo sviluppo degli studi critici
concernenti il Maestro di Campodonico, presentando in ordine
cronologico i saggi degli studiosi che nel secolo scorso si sono
occupati dell'anonimo, riportandone le teorie e le attribuzioni.
Nel secondo capitolo ho raccolto le schede delle opere che compongono
il catalogo del Maestro di Campodonico, con riferimenti anche ai
luoghi originari di provenienza degli affreschi e con alcune
considerazioni su committenza e iconografia.
Infine nel terzo capitolo ho presentato le mie considerazioni sulle
origini stilistiche e anagrafiche del maestro, appoggiandomi ad
analogie e confronti con le opere di altri maestri del Trecento.