ITA
Perché gli italiani si scambiano continuamente espressioni di cortesia ("ciao", "scusa", "per favore", "grazie", "prego"), anche per piccole cose e anche tra amici e in famiglia? Per chi è educato sin dalla più tenera infanzia ad accettare queste abitudini come dati di fatto si tratta probabilmente di domande dalla risposta ovvia (“Gli italiani fanno così perché sono educati, e lo fanno da quando hanno cominciato ad apprezzare il valore degli altri”) e quindi impensabili, ma che può invece facilmente porsi chi incontra per la prima volta la cultura italiana provenendo da aree culturali in cui l’educazione si esprime in modo differente, per certi versi opposto. Aree culturali che, d’altro canto, possono risultare a un italiano abitate da maleducati, che non salutano, non ringraziano, e via dicendo. Questo uso, infatti, normalissimo per un italiano e, in generale, per un occidentale contemporaneo, non lo è affatto per un cinese: in Cina, ad esempio, risulterebbe, come vedremo, strano, se non addirittura offensivo in determinati contesti. Si tratta quindi di una peculiarità che merita di essere indagata su un piano storico e sociale. L'unica risposta coerente e articolata che ho trovato sulla questione è contenuta nell’articolo "The politeness bias and the society of strangers" della linguista Zhengdao Ye. L'autrice, d’origine cinese e residente in Australia, esamina il differente concetto di educazione cinese e anglosassone, notando come per gli australiani sia normale che un padre, durante una festa di compleanno, chieda alla figlia: "Would you please take the camera to the garden? It is photo time: thank you". Una simile frase, detta in cinese ("请你把照相机拿到公园里。现在不是照相的时候吗?谢谢") significherebbe, a livello pragmatico, che il padre è estremamente arrabbiato con la figlia e vuole mostrare davanti a tutti i presenti freddezza nei suoi confronti, trattandola da estranea, oppure che è impazzito, oppure ancora che ha poca familiarità con l’uso della lingua cinese. La Ye, ricorrendo ai concetti di società degli intimi e società degli estranei formulati da Thomas Givón in "Context as other minds", denuncia uno sbilanciamento anglocentrico negli studi sulla cortesia e, ai fini della nostra indagine, rintraccia l'origine dell'abitudine generalizzata di usare formule di cortesia verso tutti e per qualsiasi cosa nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale e ai cambiamenti sociali che essa impose. Nelle seguenti pagine cercheremo di valutare la validità di tale ipotesi, affrontandola con un taglio italiano: se la Ye ha ragione, l'attuale uso sovrabbondante delle formule di cortesia in italiano dovrebbe essere stato mutuato dall'inglese, quindi non dovrebbero esservene attestazioni anteriori, quantomeno, alla seconda metà del Settecento. Inoltre, potremmo attenderci di non vedere quest'uso radicato nelle lingue regionali italiane, presumibilmente meno esposte all'influsso inglese, in quanto più periferiche. Infine, cercheremo delle lingue in cui tale uso vada oggi diffondendosi sotto l'influenza dell'inglese, confermando così la verosimiglianza che quello che vediamo lì in opera è quanto accaduto uno o due secoli fa all'italiano. In questa ricerca ci avvarremo essenzialmente di fonti letterarie per le epoche passate, osservando altresì, essendo la diffusione di questo uso attribuita a un cambiamento sociale, se ci sono ulteriori e concomitanti indicatori culturali di tale cambiamento, ovvero altri usi culturali riconducibili al medesimo processo storico.
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