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A partire dal XX secolo, l’inquinamento di risorse importanti per la vita e il sostentamento dell’uomo – come suolo, acqua o aria - ha cominciato a rappresentare un serio problema per le popolazioni mondiali. Tra queste, il suolo risulta essere una risorsa la cui salvaguardia è divenuta sempre più importante, soprattutto per il suo utilizzo in ambito agricolo. L’inquinamento dei suoli è però al contempo un fenomeno che incontra minore sensibilità da parte del pubblico rispetto all’inquinamento atmosferico o idrico, in quanto spesso determina effetti meno evidenti in natura e meno diretti sulla salute dell’uomo. Tra i diversi tipi di inquinamento cui i suoli sono soggetti rientra quello da metalli pesanti, le cui fonti sono sia antropogeniche che naturali. L’inquinamento da metalli pesanti può peggiorare la produttività del suolo e abbassare la qualità delle colture ad uso alimentare determinando situazioni di insicurezza alimentare, definita dalla FAO come la mancanza di regolare accesso ad alimenti sicuri e nutrienti. I metalli pesanti sono caratterizzati da un’elevata persistenza e vengono accumulati all’interno dei tessuti degli organismi esposti; un’esposizione prolungata può portare nell’uomo allo sviluppo di patologie quali l’osteoporosi, malattie respiratorie, problemi neurologici, vascolari e di infertilità. Il problema dell’inquinamento del suolo è aggravato dal fatto che esiste un numero limitato di metodi di bonifica efficaci, per via della complessità ed eterogeneità di questa matrice. In questo elaborato ho cercato di illustrare il funzionamento del fitorimedio, una tecnica di risanamento che può essere applicata al fine particolare di bonificare i suoli inquinati da metalli pesanti sfruttando le piante. In particolare, le prime applicazioni del fitorimedio intendevano sfruttare la capacità fuori dal comune di un particolare gruppo di piante, le cosiddette piante iperaccumulatrici, di accumulare e tollerare concentrazioni molto elevate di questi inquinanti nei propri tessuti. Questa pratica di bonifica è di gran lunga meno invasiva e impattante per il sito di trattamento rispetto alle pratiche chimico-fisiche di bonifica ad oggi conosciute, che per la maggior parte richiedono un’applicazione ex-situ, e con una minore richiesta di manodopera. Il fitorimedio risulta pertanto una tecnica di intervento più sostenibile ed economica rispetto ad altri metodi. Sono state proposte delle ipotesi sull’origine evolutiva del fenomeno dell’iperaccumulo, un adattamento a diversi tipi di suoli metalliferi che interessa soprattutto la famiglia delle Brassicaceae e che dipende dal livello di disponibilità di un determinato metallo nel suolo. Per quanto riguarda i meccanismi cellulari e molecolari alla base dell’iperaccumulo di metalli, sono stati studiati in particolare i meccanismi che permettono l’iperaccumulo del nickel, dato il numero elevato di piante iperaccumulatrici di questo metallo. È stato dimostrato come l’assorbimento del nickel sia possibile a livello radicale grazie a trasportatori a bassa affinità per Zn e Fe appartenenti alla famiglia dei trasportatori ZIP e IRT, responsabili anche del passaggio dello ione dallo xilema alle cellule del mesofillo fogliare. La compartimentazione vacuolare, cioè l’accumulo dei metalli all’interno di un organulo separato dal citoplasma, risulta essere la strategia più comune nelle piante iperaccumulatrici, che permette alla pianta di evitare fenomeni di tossicità.
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