Sono trascorsi ormai ventisei anni dall'introduzione nel nostro ordinamento dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione e, in queste pagine, ne verranno esaminate le principali caratteristiche prestando particolare attenzione alle possibili interferenze e alle auspicabili interazioni che si possono verificare con la fase esecutiva del procedimento penale e, più precisamente, con il computo della pena che il pubblico ministero è tenuto ad attuare ai sensi dell'art. 657 c.p.p.
Si vedrà, infatti, come le norme dedicate all'ingiusta detenzione (principalmente gli artt. 314 e 315 c.p.p.), per quanto possano essere considerate ben elaborate e per quanto possano essere migliorate nei loro aspetti maggiormente tecnici, rappresentano solamente la possibilità di un risarcimento minimo, talvolta addirittura irrisorio, agli occhi di un soggetto che sia stato ingiustamente privato della propria libertà personale, anche per un tempo ridotto. Se è vero che anche un solo giorno di carcere può cambiare la vita di un uomo, una somma di denaro ricevuta dallo Stato ¿in cambio di una vita rovinata¿ e di una reputazione irrimediabilmente compromessa non può che essere qualcosa di insufficiente o, forse più correttamente, non può che essere l'extrema ratio nell'ipotesi in cui non sia possibile ricorrere ad un mezzo più effettivo, più efficace.
La fase esecutiva è proprio il momento in cui devono trovare riscontro i presupposti della misura cautelare precedentemente imposta ed è in questa sede che, attraverso lo scomputo di periodi di detenzione ingiustamente subiti (in relazione anche alla commissione di altri reati), è possibile restituire ¿in natura¿ una porzione di libertà al soggetto che in precedenza sia stato ingiustamente detenuto.
Particolare attenzione verrà posta sul confronto tra l'art. 314 che riguarda <<presupposti e modalità della decisione>> in tema di riparazione per ingiusta detenzione e l'art. 657 c.p.p., rubricato <<computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo>>, per cercare di coglierne eventuali asimmetrie e, di conseguenza, di analizzare le varie prese di posizione di dottrina e giurisprudenza, volte tutte a dare una risposta alla stessa domanda: in quali casi il pubblico ministero, trovandosi a dover determinare il quantum di pena effettivamente da scontare, deve prendere in considerazione periodi di custodia cautelare ingiustamente subiti? Per rispondere a questa domanda, il codice di procedura offre due elementi determinanti: da un lato, il quarto comma dell'art. 314 c.p.p. che dispone che <<il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena>>, dall'altro il ¿silenzio¿ dell'art. 657 c.p.p. che non prevede particolari limitazioni nel momento in cui afferma i poteri del pubblico ministero nell'ambito del computo della pena.