Il tema della mia tesi muove dall'opera di Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann in Gerusalemme, in cui l'autrice attraverso la sua spregiudicatezza e la sua sensibilità cercò di comprendere un fenomeno morale e politico tanto complesso. Particolare fu anche la prospettiva con cui scelse di farlo: quella dischiusa dalle atrocità di Auschwitz. L'occasione le si presentò con il processo ad Eichmann avvenuto nel 1961. Adolf Eichmann, criminale nazista, ricercato a livello
internazionale fu rintracciato nella primavera del 1960 dai Servizi segreti israeliani e portato in Israele. L'ex tenente colonnello delle SS, che aveva collaborato alla preparazione della Conferenza di Wannsee, oltre aver redatto il protocollo, fu processato a Gerusalemme. Fu il primo ministro israeliano, David Ben Gurion, ad annunciare la sua cattura e l'inizio del processo: l'essenziale, dirà, non è la punizione ma che ci sia un processo e che lo si celebri a Gerusalemme, perché alla sbarra non ci sarà soltanto il criminale nazista, ma il genocidio. Nei processi del dopoguerra, prima tra tutti quello di Norimberga, l'Olocausto era rimasto sullo sfondo come uno dei tanti crimini commessi dal regime nazista. Nel processo ad Adolf Eichmann l'Olocausto diventò invece l'elemento centrale, così come nella vita del burocrate nazista lo era stata la pianificazione dello sterminio degli ebrei. Il
processo Eichmann per la prima volta spezzò quel silenzio che regnava da anni: le vittime ebbero l'occasione di parlare e la gente fu disposta ad ascoltarli e a capire ciò che era successo.
¿Giudici d'Israele, davanti a voi in questa Corte, ad accusare Adolf Eichmann non sono solo. Qui con me, in questo momenti, ci sono sei milioni di perseguitati¿.
Hannah Arendt era presente al processo come inviata: ¿Assistere a questo processo è in qualche modo, ritengo, un obbligo che ho verso il mio passato¿ scrisse prima di partire per Gerusalemme.
Ella infatti si era rammaricata di essersi ¿persa i processi di Norimberga¿ e di ¿non aver mai visto quella gente in carne e ossa¿. Il processo contro Eichmann le dava ¿probabilmente la mia ultima possibilità¿ 2. L'esperienza di vedere qualcosa in carne e ossa era per la Arendt un presupposto fondamentale per pensare e giudicare. E prima ancora di essere pubblicato, La banalità del male, aveva una pretesa: pretendeva che il lettore tentasse di ¿comprendere¿ anche Eichmann, anche i presupposti della soluzione finale. ¿Per me¿ disse la Arendt ¿si tratta essenzialmente di questo: io devo comprendere. [...] e se altri comprendono ¿ nello stesso senso in cui io ho compreso ¿ allora provo un senso di appagamento,
come quando ci si sente a casa in un luogo¿¿ 3 .
Di solito si scrive della Shoah dal punto di vista delle vittime, e questo, paradossalmente, occulta parte della sua mostruosità. La vittima è difatti innocente, ragionevole, sincera: ed è facile identificarsi in lei. La vittima è un essere umano, come noi, che pensa e agisce come noi avremmo
agito. Ma la Arendt invece volle darci il punto di vita dei carnefici, portando alla luce l'altra metà del vero. Lei stessa dichiarò che a occuparla erano due questioni: la questione della natura del crimine (il genocidio amministrativo) e quella della figura dell'imputato (un assassino amministrativo).